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TAR Lombardia, Milano, sez. III, 3/7/2020 n. 1274
Non costituisce attività di servizio pubblico l'individuazione con avviso pubblico di soggetti pubblici o privati interessati a svolgere servizi di mobilità in sharing con dispositivi per la micromobilità elettrica: ragioni

Come noto, il "servizio pubblico" presuppone la decisione della p.a. di farsi carico del soddisfacimento di un bisogno proprio della collettività da essa amministrata che il mercato non è in grado di soddisfare adeguatamente e consiste nell'espletamento del servizio a tal fine necessario il quale può essere svolto secondo modalità differenti. Quando l'attività di gestione del servizio possiede carattere economico ed è quindi in grado di produrre un utile, l'amministrazione può decidere di affidarla a soggetti privati aventi natura imprenditoriali. Ne consegue che, nel caso di specie, l'individuazione con avviso pubblico di soggetti pubblici o privati interessati a svolgere servizi di mobilità in sharing con dispositivi per la micromobilità elettrica, non costituisce attività di servizio pubblico, mancando il momento fondamentale dell'"assunzione", che costituisce presupposto indefettibile per poter integrare la figura del "pubblico servizio". Il comune, infatti, non ha espresso l'intento politico di soddisfare il bisogno, proprio dei suoi amministrati, di spostarsi nel territorio cittadino mediante l'uso di hoverboard, segway, monopattini elettrici e monowheel, già adeguatamente soddisfatto dal mercato; anzi, la necessità di regolazione dell'attività di noleggio di tali dispositivi è sorta proprio in ragione del proliferare dei soggetti che ha spontaneamente iniziato ad erogare il servizio in modalità free floating e per evitare che questa attività venga svolta in maniera pericolosa e disordinata, in modo da scongiurare impatti negativi sul sistema di circolazione stradale, sull'ordine e la sicurezza urbana nonché sull'uso del suolo pubblico. Si rileva, inoltre che, il fatto che l'attività di noleggio di dispositivi per la micromobilità elettrica non venga qualificata dal comune come attività di servizio pubblico non deve far ritenere che lo stesso comune possa completamente disinteressarsi degli interessi che interferiscono con essa, fra i quali spiccano l'interesse pubblico e quello dell'utenza di poter beneficiare del miglior servizio possibile.

Materia: servizi pubblici / disciplina
Pubblicato il 03/07/2020

N. 01274/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00002/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2 del 2020, proposto da
LIME TECHNOLOGY s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difeso dagli avvocati Elisa Stefanini, Maria Vittoria La Rosa, Ernesto Apa e Martina Lucenti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Milano, Piazza Borromeo, n. 12;

contro

COMUNE DI MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonello Mandarano, Antonella Fraschini, Stefania Pagano, Vincenza Palmieri e Paolo Radaelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso gli Uffici dell’Avvocatura comunale in Milano, Via della Guastalla, n. 6;

nei confronti

WIND MOBILITY GMBH, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Adriano Zoppolato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
BIT MOBILITY s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Zanardi, Stefanì Tieni e Martina Crivellente, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
HELBIZ ITALIA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Paolo Bello e Gioacchino Amato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Milano, Via Tortona, n. 25;

per l'annullamento

della comunicazione inviata dal Comune alla ricorrente in data 4 dicembre 2019, con la quale è stata resa nota la non ammissione della Società allo svolgimento in via sperimentale di servizi di mobilità in sharing con dispositivi per la micromobilità elettrica;

della Determina Dirigenziale n. 7225 del 2 dicembre 2019, con la quale è stato approvato l’elenco dei soggetti da autorizzare, in via sperimentale, a svolgere servizi di mobilità in sharing con dispositivi per la micromobilità nel territorio del Comune di Milano;

dell’Avviso pubblico per l’individuazione di soggetti pubblici o privati interessati a svolgere servizi di mobilità in sharing con dispositivi per la micromobilità elettrica, sul territorio del Comune di Milano, a cui associare il logo del Comune”, approvato con Determina Dirigenziale n. 5079 del 24 ottobre 2019, successivamente modificata con Determina n. 5135 del 25 ottobre 2019;

nonché, per quanto occorrer possa:

delle Deliberazioni della Giunta Comunale n. 1262 del 26 luglio 2019 e n. 1537 del 25 settembre 2019, con le quali è stata approvata “la sperimentazione della circolazione su strada di dispositivi per la mobilità personale a propulsione prevalentemente elettrica sul territorio del Comune di Milano per la durata di un anno”,

di ogni altro atto connesso, conseguente e/o presupposto.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Milano, di Wind Mobility Gmbh, di Bit Mobility s.r.l. e di Helbiz Italia s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 maggio 2020 il dott. Stefano Celeste Cozzi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Lime Technology s.r.l., odierna ricorrente, ha partecipato alla procedura selettiva indetta dal Comune di Milano con determina dirigenziale n. 5079 del 24 ottobre 2019 (successivamente modificata con determina n. 5135 del 25 ottobre 2019), procedura volta all’individuazione di soggetti pubblici o privati interessati a svolgere in via sperimentale, ai sensi del d.m. 229 del 2019, servizi di mobilità in sharing con dispositivi per la micromobilità elettrica (hoverboard, segway, monopattini e monowheel) cui associare il logo del Comune.

Con il ricorso in esame, Lime Technology s.r.l. impugna principalmente la determina n. 7225 del 2 dicembre 2019, con la quale è stato approvato l’elenco dei soggetti autorizzati allo svolgimento della suddetta attività (Wind Mobility GMBH, Bit Mobility s.r.l., Helbiz Italia s.r.l.), nonché la nota inviatale in data 4 dicembre 2019, con la quale il Comune le ha comunicato il diniego di autorizzazione.

Si sono costituiti in giudizio, per resistere al ricorso, il Comune di Milano e le controinteressate Wind Mobility GMBH, Bit Mobility s.r.l. e Helbiz Italia s.r.l.

La Sezione, con ordinanza n. 119 del 29 gennaio 2020, ha fissato l’udienza di trattazione del merito ai sensi dell’art. 55, comma 10, cod. proc. amm.

In prossimità di tale udienza, le parti hanno depositato memorie insistendo nelle loro conclusioni.

La causa è stata trattenuta in decisione in esito all’udienza telematica del 19 maggio 2020, tenutasi ai sensi dell’art. 84 del d.l. n. 18 del 2020.

Va innanzitutto rilevato che l’istanza di rimessione in termini formulata da Wind Mobility GMBH ai sensi dell’art. 84, comma 5, del d.l. n. 18 del 2020 (a prescindere da ogni considerazione sul merito della stessa) non può essere esaminata dal Collegio posto che la parte si è avvalsa della facoltà di presentare le note di udienza di cui alla medesima norma. Si richiama in proposito quanto espressamente stabilito dal citato art. 84, comma 5, il quale prevede che l’istanza di rimessione in termini ivi contemplata può essere richiesta <<…dalla parte che non si sia avvalsa della facoltà di presentare le note>>.

Si precisa ancora che deve ritenersi rituale il deposito della ricorrente delle note di udienza di cui al ridetto art. 84, comma 5, deposito avvenuto in data 15 maggio 2020. Non è infatti rilevante il mancato preventivo deposito, da parte della stessa ricorrente, delle memorie e delle repliche di cui all’art. 73, primo comma, cod. proc. amm., posto che le suindicate note hanno la funzione di supplire all’impossibilità di trattazione orale della causa dovuta alla normativa emergenziale.

Ciò stabilito, si può passare all’esame del merito.

Con il primo motivo, la ricorrente rileva che la determina n. 7225 del 2 dicembre 2019 – con la quale, come detto, è stato approvato l’elenco dei soggetti ammessi in via sperimentale allo svolgimento dell’attività di cui si discute – ha complessivamente autorizzato, per le tre concorrenti selezionate, l’utilizzo di un numero di dispositivi per la micromobilità elettrica pari a 2.225, numero superiore al limite previsto dall’ Avviso pubblico approvato con determina dirigenziale n. 5079 del 24 ottobre 2019, il quale stabiliva che le ammissioni alla sperimentazione sarebbero state disposte seguendo l’ordine cronologico delle istanze sino al raggiungimento del limite di 2.000 dispositivi. Sostiene la parte che, una volta riconosciuta la derogabilità del limite previsto dall’Avviso, il Comune avrebbe dovuto ammettere una ulteriore deroga ed accogliere quindi anche la sua istanza.

Ritiene il Collegio che la censura sia infondata per le ragioni di seguito esposte (si prescinderà quindi dall’esame delle eccezioni di inammissibilità e irricevibilità sollevate da Helbiz Italia s.r.l.)

L’art. 9 dell’Avviso pubblico stabilisce che ciascun operatore interessato a partecipare alla procedura selettiva avrebbe dovuto formulare una proposta avente ad oggetto un numero di dispositivi compreso fra 500 e 750, e che l’Amministrazione, seguendo l’ordine cronologico delle proposte, avrebbe dovuto accogliere le richieste sino al raggiungimento del limite di 2.000 dispositivi autorizzabili.

Sennonché il penultimo comma dello stesso art. 9 prevede che <<l’eventuale manifestazione di interesse che dovesse completare la capienza prevista del suddetto tetto di 2.000 dispositivi verrà autorizzata, nei limiti minimi sopra definiti, per l’intera flotta proposta>>.

Ciò significa che il Comune, sulla base del combinato disposto delle suindicate norme, avrebbe dovuto ammettere alla sperimentazione un numero di offerte sufficiente per saturare il limite complessivo di duemila dispositivi e che, qualora l’ultima offerta utile avesse previsto l’utilizzo di un numero dispositivi maggiore di quello strettamente necessario al raggiungimento del predetto limite complessivo, la stessa avrebbe dovuto essere comunque ammessa nella sua totalità (per l’intera flotta) senza possibilità di frazionamento, sempreché ovviamente il numero dei dispositivi offerti non avesse superato il limite individuale di 750.

Questa evenienza si è realizzata nel caso concreto in quanto: a) le due concorrenti che per prime hanno presentato le loro offerte hanno proposto l’utilizzo di 750 dispositivi ciascuna, per un totale di 1.500 dispositivi; b) il Comune ha dunque dovuto ammettere anche la terza concorrente che però ha proposto anch’essa l’utilizzo di 750 dispositivi; c) non potendo frazionare l’offerta presentata da quest’ultima, si è consentito, ai sensi del citato art. 9, penultimo comma, il superamento del limite complessivo di 2.000 dispositivi.

Come si vede, il Comune non ha affatto considerato liberamente derogabili i limiti numerici stabiliti dall’Avviso pubblico, ma ha dato stretta applicazione alle disposizioni contenute in tale atto autorizzando il superamento del limite numerico complessivo solo perché si è constatata l’integrazione della particolare fattispecie ivi prevista. Non vi era invece ragione per consentire la deroga voluta dalla ricorrente; ne deriva che correttamente la stessa non è stata autorizzata a prendere parte alla sperimentazione.

Va per queste ragioni ribadita l’infondatezza della censura.

Con altra censura contenuta nel secondo motivo di ricorso, parte ricorrente sostiene che l’Amministrazione avrebbe errato nell’effettuare la qualificazione dell’attività oggetto degli atti impugnati, attività che, a suo dire, andrebbe ricondotta alla categoria del servizio pubblico. Partendo da questa premessa, l’interessata trae la conseguenza secondo cui il provvedimento che consente ai soggetti selezionati di svolgere l’attività di noleggio dei dispositivi per la micromobilità elettrica avrebbe natura concessoria e non già autorizzatoria (come erroneamente ritenuto dal Comune), risolvendosi esso in sostanza in un atto di affidamento della gestione di un servizio pubblico. Ulteriore conseguenza è che lo stesso Comune, invece di limitarsi a pubblicare sul proprio sito internet un semplice avviso, avrebbe dovuto programmare ed indire una procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento di una concessione di servizi, ai sensi degli artt. 164 e segg. del d.lgs. n. 50 del 2016, nel rispetto dei principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità che governano la materia. Rileva ancora l’interessata che la selezione dei concessionari sarebbe stata nel concreto effettuata secondo criteri che non garantiscono l’individuazione dei soggetti più idonei allo svolgimento del servizio, mentre l’effettuazione di una gara ad evidenza pubblica avrebbe sicuramente condotto a risultati che avrebbero garantito il soddisfacimento dell’interesse pubblico.

Ritiene il Collegio che la censura sia infondata (anche in questo caso si prescinderà quindi dall’esame delle specifiche eccezioni preliminari sollevate da Helbiz Italia s.r.l.).

Come noto, per costante orientamento giurisprudenziale, il “servizio pubblico” presuppone la decisione della pubblica amministrazione di farsi carico del soddisfacimento di un bisogno proprio della collettività da essa amministrata che il mercato non è in grado di soddisfare adeguatamente, e consiste nell’espletamento del servizio a tal fine necessario il quale può essere svolto secondo modalità differenti che si possono però raggruppare in due grossi insiemi: a) gestione diretta da parte della stessa amministrazione; b) gestione affidata a soggetti estranei all’amministrazione.

A seguito della decisione dell’amministrazione di assunzione del compito di soddisfacimento del bisogno collettivo attraverso lo svolgimento del servizio pubblico, l’attività che ne costituisce oggetto diviene attività di interesse pubblico che la stessa amministrazione deve provvedere a regolare in modo da assicurare che essa sia effettivamente funzionale allo scopo cui è destinata, dando attuazione a determinati principi giuridici che si ricavano anche, e soprattutto, dal diritto eurounitario e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea, tra i quali si ricordano il principio di legalità; il principio di doverosità (i pubblici poteri devono garantire direttamente o indirettamente alla collettività l'erogazione del servizio secondo criteri quantitativi e qualitativi predeterminati); il principio della continuità della gestione ed erogazione dei servizi; il principio di imparzialità; il principio di universalità (le imprese che gestiscono servizi pubblici devono offrire prestazioni anche a fasce di clienti e in aree territoriali non convenienti); il principio dell'accessibilità dei prezzi per tutti; il principio dell'economicità (nel senso che il gestore del servizio deve poter conseguire un margine ragionevole di utile); il principio di trasparenza; il principio di proporzionalità (cfr. Consiglio di Stato sez. I, 7 maggio 2019, n.1389).

Per quanto riguarda le forme di gestione, si è detto che l’attività di servizio pubblico può essere svolta direttamente dalla pubblica amministrazione, attraverso le strutture dello stesso ente che ha assunto il servizio (aziende speciali, gestione in economia), ovvero affidata ad altri soggetti. Non è necessario in questa sede illustrare analiticamente tutte le modalità di gestione, ciò che è invece necessario sottolineare è che talvolta, ed in particolare quando l’attività di gestione del servizio possiede carattere economico ed è quindi in grado di produrre un utile, l’amministrazione può decidere di affidarla a soggetti privati aventi natura imprenditoriale. In questo caso, poi, la scelta può ricadere o su uno o più affidatari definiti “concessionari”, selezionati mediante procedure di evidenza pubblica, che opereranno in regime di monopolio o di oligopolio (c.d. concorrenza per il mercato), oppure su un numero indeterminato di soggetti autorizzati ad erogare il servizio in concorrenza fra loro, nel rispetto però degli obblighi di servizio pubblico stabiliti dal regolatore (c.d. concorrenza nel mercato).

Secondo la ricorrente, nel caso concreto, l’attività oggetto del presente contenzioso dovrebbe essere qualificata come attività di servizio pubblico in quanto il Comune di Milano avrebbe inteso garantirne lo svolgimento al fine di soddisfare un bisogno della cittadinanza, affidandola in concessione a pochi soggetti determinati aventi natura imprenditoriale che, a suo dire, proprio perché beneficiari della possibilità di operare in un mercato chiuso, avrebbero dovuto essere selezionati mediante procedure ad evidenza pubblica.

Ritiene il Collegio che questa conclusione non sia condivisibile.

Va infatti osservato che, contrariamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, il Comune di Milano non ha espresso l’intento politico di soddisfare il bisogno, proprio dei suoi amministrati, di spostarsi nel territorio cittadino mediante l’uso di hoverboard, segway, monopattini elettrici e monowheel; manca dunque il momento fondamentale dell’”assunzione” che, come visto, costituisce presupposto indefettibile per poter integrare la figura del “pubblico servizio”. Questo bisogno è stato infatti ritenuto già adeguatamente soddisfatto dal mercato; ed anzi la necessità di regolazione dell’attività di noleggio di tali dispositivi è sorta proprio in ragione del proliferare dei soggetti che ha spontaneamente iniziato ad erogare il servizio in modalità free floating (che consente la restituzione dei beni in luoghi non determinati) e per evitare che questa attività venga svolta in maniera pericolosa e disordinata, in modo da scongiurare impatti negativi sul sistema di circolazione stradale, sull’ordine e la sicurezza urbana nonché sull’uso del suolo pubblico. La regolazione non ha dunque la specifica finalità di garantire a tutti gli amministrati la possibilità di usufruire del servizio secondo i principi di imparzialità, universalità, continuità, trasparenza ecc., che sopra si sono illustrati.

Quanto sopra si ricava inequivocabilmente, fra l’altro, dalla lettura della delibera di Giunta comunale n.1537 del 25 settembre 2019 con la quale è stata disposta la proroga della durata della sperimentazione riguardante l’attività di cui si discute (sperimentazione avviata dalla precedente deliberazione della Giunta comunale n. 1262 del 26 luglio 2019). In questa delibera si afferma infatti esplicitamente che “È necessario per l’Amministrazione garantire condizioni di sicurezza e decoro affinché la circolazione dei dispositivi si svolga nel rispetto delle condizioni di sicurezza stradale sia per gli utenti sia per gli altri fruitori dello spazio pubblico”.

Una volta escluso che, nel caso concreto, ci si trovi dinanzi ad una attività di servizio pubblico, le argomentazioni della ricorrente – che, come detto, partendo proprio dal presupposto contrario, invocano la necessità di applicazione delle norme e dei principi che regolano l’affidamento delle concessioni di servizio pubblico – perdono consistenza e non possono quindi essere positivamente apprezzate.

Va per queste ragioni ribadita l’infondatezza della censura.

Con il terzo motivo di ricorso vengono proposte diverse doglianze.

Rileva innanzitutto la ricorrente che l’Amministrazione non avrebbe motivato le decisioni riguardanti i limiti individuale e complessivo dei dispositivi autorizzabili (ed anzi quest’ultima scelta sarebbe talmente immotivata che la stessa Amministrazione avrebbe poi deciso di disattenderla), nonché la decisione di fissare ad 8 euro per ogni dispositivo il contributo annuo da pagare al Comune da parte dei soggetti ammessi alla sperimentazione. Sostiene pertanto la parte che i provvedimenti impugnati sarebbero stati assunti in violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 oltre che affetti dal vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria.

Ritiene il Collegio che questa censura sia infondata per le ragioni di seguito esposte (si prescinderà quindi ancora dall’esame delle specifiche eccezioni preliminari sollevate da Helbiz Italia s.r.l.).

La decisione riguardante i limiti complessivo (pari a 2.000 unità) ed individuale (da 500 a 750 unità) del numero di dispositivi autorizzabili nella fase sperimentale e quella riguardante l’entità dell’importo annuale che gli operatori avrebbero dovuto versare al Comune per ogni dispositivo autorizzato sono state assunte dal Comune di Milano con la deliberazione di Giunta comunale n. 1537 del 25 settembre 2019.

Tale delibera, nei passaggi in cui dispone in tal senso, fa rinvio ad una relazione tecnica ad essa allegata la quale, a sua volta, richiama una serie di precedenti atti fra cui, la deliberazione di Giunta comunale n. 1262 del 2019 e la relazione tecnica di Amat s.r.l.

Ed è proprio dalla lettura di quest’ultima relazione che si rinvengono le ragioni sottese alle decisioni di cui si discute.

Per quanto riguarda in particolare il limite complessivo massimo dei dispositivi autorizzabili, l’atto appena citato – richiamando le precedenti esperienze di altre città europee – rileva l’opportunità di introduzione di questo limite e, sempre sulla base di tali precedenti esperienze, evidenzia come la Città di Milano, in relazione alla sua popolazione, abbia un fabbisogno potenziale complessivo di circa 2.500 dispositivi. Si suggerisce quindi di avviare la sperimentazione autorizzando inizialmente 2.000 dispositivi, salvi i correttivi che potranno essere apportati nelle successive fasi.

Nella stessa relazione si evidenzia poi l’opportunità di fissare limiti numerici individuali (calcolati evidentemente in relazione al limite numerico complessivo) al fine di allargare la platea dei soggetti ammessi alla sperimentazione e favorire così la differenziazione del servizio.

E’ sempre la relazione a proporre infine la fissazione dell’importo di 8 euro per ciascun dispositivo, importo ritenuto congruo per coprire i costi dell’attività, svolta dal Comune, di monitoraggio dei servizi di sharing e di manutenzione delle aree pubbliche destinate alla sosta.

Pare al Collegio, in tale quadro, che le decisioni di cui si discute siano state assunte sulla base di una congrua attività istruttoria e siano sorrette da adeguata motivazione.

Si precisa peraltro che nessun rilievo ha sulle questioni affrontate in questa sede la normativa sopravvenuta contenuta nell’art. 1, comma 75, della legge n. 160 del 2019 che ha equiparato i dispositivi di cui si discute ai velocipedi e che, secondo la ricorrente, avrebbe determinato la piena liberalizzazione del settore. Va difatti rilevato che tale normativa ha la specifica finalità di disciplinare la circolazione e non l’attività di noleggio in modalità free floating dei suddetti beni, attività quest’ultima che, come precisato sopra, il Comune di Milano ha ritenuto di dover regolamentare al fine di evitare ricadute negative sul decoro urbano e sulla sicurezza urbana. Va poi osservato che da ultimo è intervenuto l’art. 33-bis del d.l. n. 162 del 2019, convertito con la legge n. 8 del 2020, che ha introdotto il comma 75-septies all’art. 1 della legge n. 160 del 2019 il quale prevede ora espressamente che <<I servizi di noleggio dei monopattini a propulsione prevalentemente elettrica […] possono essere attivati solo con apposita delibera della Giunta comunale…>> nella quale devono essere previsti il numero delle licenze attivabili e il numero massimo dei dispositivi messi in circolazione.

Ne consegue che, come anticipato, la censura in esame non può essere accolta.

Rimane da esaminare un’ultima censura, sempre contenuta nel terzo motivo di ricorso, con la quale la ricorrente contesta la decisione di adottare il criterio cronologico per la selezione degli operatori. Sostiene in particolare l’interessata che tale criterio non sarebbe idoneo ad assicurare all’utenza il miglior servizio possibile posto che l’individuazione dei soggetti autorizzati sarebbe sostanzialmente affidata al caso.

La controinteressata Helbiz Italia s.r.l. sostiene che questa censura sia inammissibile in quanto il criterio di selezione degli operatori è stato fissato nella delibera n. 1537 del 25 settembre 2019 che la ricorrente avrebbe dovuto impugnare immediatamente.

L’eccezione non può essere condivisa in quanto la previsione riguardante il criterio di selezione non era immediatamente lesiva per la ricorrente, avendo essa acquisto il carattere della lesività solo dopo l’effettiva individuazione dei soggetti ammessi alla sperimentazione; ne consegue sulla medesima ricorrente non gravava l’onere di immediata impugnazione.

Neppure si può ritenere che la partecipazione della ricorrente agli incontri preliminari con gli operatori organizzati dall’Amministrazione, nei quali sarebbe stata esposta la volontà di far ricorso al criterio cronologico, abbia determinato acquiescenza a tale decisione, posto che la mera partecipazione agli incontri non dimostra la chiara volontà della medesima ricorrente di accettare la scelta.

Ciò chiarito, ritiene il Collegio che, a differenza delle precedenti, questa censura sia fondata.

Va in proposito rilevato che il fatto che l’attività di noleggio di dispositivi per la micromobilità elettrica non sia stata qualificata dal Comune come attività di servizio pubblico non deve far ritenere che lo stesso Comune possa completamente disinteressarsi degli interessi che interferiscono con essa, fra i quali spiccano l’interesse pubblico e quello dell’utenza di poter beneficiare del miglior servizio possibile. E’ ben vero che la regolazione è stata dettata non già per garantire il bisogno degli amministrati di fruire del servizio di sharing secondo gli standard che solo l’applicazione dei principi che governano il servizio pubblico può garantire ma per evitare che l’attività sia svolta in contrasto con le esigenze di decoro e sicurezza urbana, tuttavia la restrizione del mercato che tale regolazione ha comportato (con conseguente mancata operatività dei meccanismi concorrenziali) avrebbe richiesto, a parere del Collegio, l’adozione di una serie di accorgimenti volti ad assicurare che la scelta degli operatori da ammettere alla fase sperimentale ricadesse su coloro che, non solo garantiscano uno standard minimo di qualità, ma che siano anche in grado di soddisfare maggiormente l’interesse pubblico e quello degli utenti di poter beneficiare del miglior servizio possibile.

E’ pertanto evidente l’inadeguatezza del criterio cronologico prescelto dal Comune, criterio che, come correttamente rileva l’interessata, affida la selezione al caso.

Non è certo compito del Collegio suggerire un criterio di scelta alternativo, ciò che tuttavia preme rilevare è che criteri di scelta alternativi sono possibili posto che altre amministrazioni che, come il Comune di Milano, hanno avviato la sperimentazione sono state in grado di individuare indici funzionali alla selezione delle migliori proposte (cfr. doc. 9 di parte ricorrente).

Ritiene il Collegio in tale quadro che, come anticipato, la censura in esame sia fondata.

In conclusione, per le ragioni illustrate, il ricorso va accolto e, per l’effetto, va disposto l’annullamento degli atti impugnati.

La novità e la complessità delle questioni affrontate inducono alla compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 19 maggio 2020 con l'intervento dei magistrati:

Ugo Di Benedetto, Presidente

Stefano Celeste Cozzi, Consigliere, Estensore

Roberto Lombardi, Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Stefano Celeste Cozzi Ugo Di Benedetto
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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