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Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana - sez. giurisdizionale, 25/6/2020 n. 466
Sulla rimessione all’Adunanza plenaria delle questioni in merito all'ambito di applicazione (riferito al diritto sostanziale o processuale) del termine di prescrizione decennale e la sua interruzione

Sono rimessi all’Adunanza Plenaria i seguenti quesiti:

a) se il termine di prescrizione decennale dell’actio iudicati previsto dall’art. 114 c. 1 c.p.a. riguardi il diritto di azione o il diritto sostanziale riconosciuto dal giudicato;

b) se, ritenuta la prescrizione riferita all’azione processuale, secondo il chiaro tenore letterale dell’art. 114 c. 1 c.p.a., il termine di prescrizione possa essere interrotto esclusivamente mediante l’esercizio dell’azione (come sembra desumersi dall’Adunanza plenaria n. 5/1991 resa anteriormente all’entrata in vigore del c.p.a. del 2010), (anche davanti a giudice incompetente o privo di giurisdizione e fatti salvi gli effetti della translatio iudicii) o anche mediante atti stragiudiziali volti a conseguire il bene della vita riconosciuto dal giudicato;

c) se, pertanto, al di là del nomen iuris di prescrizione utilizzato dall’art. 114 c. 1 c.p.a., il termine di esercizio dell’actio iudicati operi, nella sostanza, come un termine di decadenza, al pari di tutti gli altri termini previsti dal c.p.a. per l’esercizio di azioni davanti al giudice amministrativo, e si presti, pertanto, ad una esegesi sistematica e armonica con l’impianto del c.p.a.;

d) se, in subordine, ove si ritenesse che l’art. 114 c. 1 c.p.a. vada interpretato nel senso di consentire atti stragiudiziali di interruzione dell’actio iudicati, non si profili un dubbio di legittimità costituzionale della previsione quanto meno in relazione agli artt. 111 e 97 Cost., per violazione dei principi di ragionevole durata dei processi e di buon andamento dell’Amministrazione.

Materia: giustizia amministrativa / processo
Pubblicato il 25/06/2020

N. 00466/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00067/2020 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA

sul ricorso numero di registro generale 67 del 2020, proposto dai signori


Francesco Maiorana, Maria Luisa Majorana, Ettore Antonio Cesare Majorana, rappresentati e difesi dall'avvocato Andrea Scuderi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;


contro

Università degli studi di Catania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppina Claudia Coniglione e dall’avvocato Vincenzo Reina, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Santo Spagnolo in Palermo, via Massimo D'Azeglio, n. 5;
Ministero dell’università e ricerca scientifica, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliato per legge presso la sede distrettuale in Palermo, via Valerio Villareale, n. 6;

per l’ottemperanza della sentenza del Consiglio Giustizia Amministrativa - sezione giurisdizionale n. 180/2001, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli studi di Catania e del Ministero dell’università e ricerca scientifica;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il consigliere Antonino Caleca nell’udienza del 21 maggio 2020 svoltasi ai sensi dell’art. 84, d.l. n. 18/2020 conv. in l. n. 27/2020 senza discussione orale e con i magistrati collegati da remoto in videoconferenza;


1. I signori Francesco Majorana, Maria Luisa Majorana ed Ettore Antonio Cesare Majorana in proprio e nella qualità di eredi del prof. Giuseppe Majorana chiedono l’esecuzione del giudicato nascente dalla sentenza di questo Consiglio di Giustizia Amministrativa del 23 aprile 2001 numero 180.

Con la citata sentenza il Consiglio di Giustizia amministrativa riconosceva agli eredi del prof. Giuseppe Majorana, deceduto nel corso del giudizio, il diritto ad ottenere le differenze retributive dal 1/8/1980 al 31/7/1985 con rivalutazione ed interessi.

La sentenza 23 aprile 2001 numero 180, passata in giudicato, veniva notificata il 5 aprile 2011 alle amministrazioni resistenti, tanto, nell’intendimento degli eredi, ai fini interruttivi della prescrizione del diritto alle somme ivi liquidate.

Le amministrazioni non manifestavano alcun riscontro.

Il 9 luglio 2019 gli eredi ulteriormente diffidavano le amministrazioni resistenti al pagamento di quanto dovuto, allegando alla diffida un prospetto col calcolo degli importi delle differenze retributive da versare, quantificando le stesse in euro 86.846,74.

Le amministrazioni anche in questo caso, a detta degli odierni ricorrenti, non davano alcuna risposta.

2. Permanendo l’inerzia delle amministrazioni intimate, gli eredi del prof. Majorana si rivolgono, ora, a questo giudice per ottenere l’esecuzione del giudicato.

3. L’Università si è costituita in giudizio con atto formale chiedendo il rigetto del ricorso.

Con memoria depositata il 4 marzo 2020 l’Università di Catania ha contestato le pretese degli eredi del professore.

Nel merito l’Università evidenzia che il prof. Giuseppe Majorana, già professore universitario associato d'Istituzioni di patologia vegetale presso la facoltà di Agraria dell'Università degli studi di Catania, otteneva tale nomina in data 1 agosto 1985. Sennonché il docente promuoveva ricorso avverso il provvedimento di nomina ritenendo che lo stesso andasse retrodatato al 1 agosto 1980. Il ricorso veniva accolto giusta sentenza TAR Catania n. 51/1984, di seguito confermata con sentenza del Cgars n. 77 delibata il 27 marzo 1985 e depositata il 26 giugno 1985.

In ottemperanza, il Ministero competente procedeva, con decreto del 21 febbraio 1989, alla rideterminazione della decorrenza giuridica della nomina del prof. Majorana a professore associato dalla data del primo agosto 1980.

Sennonché, il prof. Majorana ritenendo di avere diritto all’attribuzione delle differenze retributive tra lo stipendio percepito nel quinquennio contestato (1 agosto 1980 - 1 agosto 1985) e quello che avrebbe dovuto percepire in qualità di professore associato, promuoveva ulteriore ricorso che veniva rigettato dal TAR Catania con la sentenza n. 2223/1997.

Avverso la stessa, gli eredi del docente – medio tempore deceduto – promuovevano appello innanzi a codesto Collegio che veniva accolto con la sentenza n. 180 del 2001 che dichiarava “il diritto del prof. Majorana (ed oggi dei suoi eredi) ad ottenere le differenze retributive dal 1.8.1980 al 31.7.1985 con rivalutazione ed interesse”.

Essendo demandato all’Università di Catania, nel frattempo subentrata per legge nella gestione dei rapporti con i docenti in luogo del Ministero dell’università, il suddetto ricalcolo delle differenze retributive essa, giusta D.D. n. 1065/2001, disponeva che al prof. Majorana “a far data dal 1.08.1980 deve essere attribuita la classe 5^ di stipendio dei professori associati confermati a tempo definito. Le successive classi di stipendio devono essere attribuite con la decorrenza a fianco di ciascuna indicata: classe 6^ dall’1.8.1982 (TD) classe 7^ dal 1.8.1984 e fino al 31.7.1985 (TD)”. Con il medesimo provvedimento veniva disposto che si provvedesse ai dovuti conguagli tra quanto già corrisposto al prof. Majorana e quanto dovuto in base alle nuove disposizioni.

In tale sede emergeva però che non v’era alcun pagamento da effettuare in quanto le retribuzioni di assistente ordinario e incaricato interno ed esterno, percepite nel periodo in considerazione dal prof. Majorana, erano superiori alla retribuzione di associato confermato a tempo definito.

Il provvedimento veniva trasmesso agli eredi con nota prot. n. 2212 del 24 gennaio 2002 e gli stessi non lo sindacavano o contestavano in alcun modo.

In data 5 aprile 2011, trascorsi quasi 10 anni dall’adozione del provvedimento testè citato, il legale degli eredi del prof. Majorana, provvedeva alla notifica della sentenza del CGA n. 180 del 2001 e, di seguito, con richiesta introitata il 5 aprile 2012, prot. n. 26858, il signor Ettore Majorana chiedeva il rilascio di alcuni documenti tra cui anche il D.D. n. 1065/2001, già ritualmente comunicatogli.

Con nota del 9 luglio 2019, pervenuta via pec, il legale degli eredi, oggi ricorrenti, diffidava l’amministrazione universitaria al pagamento della somma complessiva di euro 86.846,74 oltre interessi. All’uopo veniva allegata una relazione che dava conto della modalità di calcolo della cifra.

L’Università riscontrava la nota ribadendo il proprio assunto e le ragioni del diniego.

Gli eredi non rispondevano alla missiva di chiarimenti dell’Ateneo e notificavano il ricorso per l’ottemperanza oggetto del presente procedimento pervenuto in data 15 novembre 2019.

Operata questa ricostruzione dei fatti l’Università deduce:

- l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse da parte dei ricorrenti. Questi, infatti, hanno omesso di impugnare tempestivamente il D.D. n. 1065/2001 con cui l’amministrazione ha provveduto a dare esecuzione alla sentenza del CGA n. 180 del 2001 certificando che nessuna ulteriore somma era dovuta in aggiunta al professore ed ai suoi eredi;

- la tardività dell’odierno ricorso; infatti, il termine decennale fissato dall’art. 114 c.p.a. risulta nella fattispecie in esame definitivamente decorso. Con l’attuale ricorso, gli eredi del prof. Majorana richiedono l’esecuzione della sentenza n. 180 depositata in data 23 aprile 2001. Il termine per proporre l’azione sarebbe ampiamente scaduto essendo trascorsi quasi 19 anni dal passaggio in giudicato della pronuncia in questione. Non potrebbero ritenersi atti utili all’interruzione del termine di prescrizione né la notifica della sentenza effettuata in data 5 aprile 2011, la richiesta di accesso agli atti fatta pervenire in data 5 aprile 2012, peraltro, tempestivamente esitata dall’amministrazione universitaria.

E’ opportuno riportare le considerazioni che sul punto svolge la difesa dell’Università: “È, infatti, costante giurisprudenza quella che afferma, in relazione al primo atto, che “La notificazione della sentenza di primo grado non rientra fra gli atti interruttivi della prescrizione contemplati dai primi due commi dell'art. 2943 c.c. (notifica della domanda introduttiva del giudizio e domanda proposta nel corso di un giudizio già pendente) e, pertanto, nel caso di estinzione del procedimento, può spiegare autonoma efficacia interruttiva della prescrizione stessa, ai sensi dell'art. 2945, comma 3, c.c. solo quando presenti i connotati dell'atto di costituzione in mora, a norma del citato art. 2943, comma 4, c.c. e cioè integri una manifestazione scritta di esercizio e di tutela del diritto da parte del creditore, comunicata personalmente al debitore” (Cass. civ. Sez. VI - Lavoro Ord., 24/05/2018, n. 12983); mentre è possibile mettere in relaziona all’istanza d’accesso la giurisprudenza, anch’essa costante, che recita: “Per produrre l'effetto interruttivo della prescrizione, un atto deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l'esplicitazione di una pretesa e l'intimazione o la richiesta scritta di adempimento, che - sebbene non richieda l'uso di formule solenni né l'osservanza di particolari adempimenti - sia idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l'effetto sostanziale di costituirlo in mora. Ne consegue che non è ravvisabile tale requisito in semplici sollecitazioni prive del carattere di intimazione e dell'espressa richiesta di adempimento al debitore” (Cass. civ. sez. VI - 1 ord., 14/06/2018, n. 15714; Corte d'Appello Milano sez. IV sent. 15/11/2019; Tribunale Roma, sez. XVII, sent. 29/01/2020) elementi questi certamente non posseduti dall’istanza di accesso agli atti.

Dunque, l’unico atto utile all’interruzione potrebbe risultare la diffida del 9 luglio 2019, sennonché, come s’è rilevato, questa è stata recapitata quando il termine di prescrizione decennale previsto dall’art. 114 c.p.a. era ampiamente scaduto visto che la sentenza è stata pubblicata il 23 aprile 2001 ed è, dunque, passata in giudicato il 7 maggio 2002”.

4. Con memoria del 5 maggio 2020 gli eredi del professore hanno replicato agli argomenti dell’Università chiedendo l’esperimento di attività istruttoria da parte di questo Consiglio.

5. Con memoria dell’8 maggio 2020 la difesa degli eredi del prof. Majorana oltre a contestare nel merito le determinazioni dell’ateneo di Catania chiedono che venga respinga l’eccezione di tardività del ricorso.

L’assunto viene supportato dalle seguenti motivazioni:

“La difesa avversaria eccepisce l’intempestività del ricorso, per decorso del termine decennale fissato dell’articolo 114 c.p.a, asserendo a tal fine l’insussistenza di atti interruttivi, assumendo che i ricorrenti si sarebbero unicamente limitati ad una “notifica secca” della sentenza del 23 aprile 2001 numero 180.

L’eccezione è infondata e smentita anche dalla documentazione in atti.

I ricorrenti hanno infatti notificato all’Ateneo resistente la sentenza 180/2001 di cui si chiede l’ottemperanza il 5 aprile 2011, apponendovi in calce l’inequivocabile intimazione ad adempiere, la quale recita testualmente “Si notifichi al fine della esatta ottemperanza ed a tutti gli effetti, compreso quello interruttivo della prescrizione”.

Alcun dubbio può quindi sussistere in merito alla sussistenza, in capo a tale atto, dei connotati dell’atto di costituzione in mora a norma dell’articolo 12943, comma 4, del codice civile, in quanto esso evidentemente integra “.una manifestazione scritta di esercizio e di tutela del diritto da parte del creditore, comunicata personalmente al debitore”.

Tanto basta per lasciar cadere nel nulla la pretestuosa affermazione di controparte secondo cui non sarebbe “chiaro” l’intento dei creditori di voler porre in essere l’ottemperanza della sentenza e, per tal motivo, interrompere la prescrizione decennale (sic!).

Il combinato disposto degli articolo 2943 e 1219 del codice civile infatti, riconoscono piena efficacia interruttiva a qualunque intimazione o semplice richiesta fatta per iscritto e, sul punto, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che un atto interruttivo deve “…manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora, requisito quest’ultimo che non è soggetto a rigore di forme, all’infuori della scrittura, e, quindi, non richiede l’uso di formule solenni né l’osservanza di particolari adempimenti, essendo sufficiente che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere dal medesimo il soddisfacimento del proprio diritto (…) essendo sufficiente a tal fine la mera comunicazione del fatto costitutivo della pretesa” (Cass. sez. lavoro, 25 novembre 2015 n. 24054; Cass., sez. lav. 18 gennaio 20018 n. 1166; Cass., sez. III, 12 febbraio 2010 n. 371).

Inoltre – anche a voler per assurdo ritenere che l’espressione “si notifichi al fine della esatta ottemperanza ed a tutti gli effetti, compreso quello interruttivo della prescrizione” usata dai ricorrenti non si possa qualificare come “intimazione ad adempiere” – la notifica della sentenza operata dai ricorrenti ha comunque avuto effetti interruttivi in quanto, come specificamente precisato dalla Suprema Corte, “…può costituire atto valido per l’interruzione della prescrizione anche la notifica della sola sentenza -effettuata dal creditore al debitore, ove possa essere considerata come richiesta scritta …” (Cass., sez. III, 17 gennaio 1983 n. 361).

Infine – alla stregua delle disposizioni normative, dei principi e delle considerazioni sin qui svolte – anche l’istanza di accesso agli atti notificata all’amministrazione resistente il 5 aprile 2012 dai ricorrenti è atto idoneo ad interrompere il termine di prescrizione decennale, poiché vi si legge “...chiede finalmente copia dei predetti due documenti, e ciò al fine di poter valutare l’opportunità di proseguire nell’azione legale”.

Alla luce di tutte tali considerazioni, il ricorso è stato presentato nel rispetto di tutti i termini prescrizionali, e pertanto va rigettata in toto la contestazione avversaria”.

Con le note di udienza del 18 maggiogli odierni ricorrenti insistono nelle proprie posizioni difensive.

6. All’udienza del 21 maggio 2020 la causa è stata assunta in decisione.

7. Il Collegio ritiene che occorra rimettere all’Adunanza Plenaria la questione preliminare sollevata nel presente giudizio e relativa all’esatta interpretazione dell’art. 114, c. 1, c.p.a. quanto agli atti idonei a interrompere il termine decennale per l’esercizio dell’actio iudicati.

Le parti sostengono tesi contrapposte: quella secondo cui il termine di dieci anni dal giudicato non è suscettibile di atti interruttivi stragiudiziali (Amministrazione resistente), e quella secondo cui tali atti interruttivi sarebbero ammissibili (parte ricorrente).

Su tale questione si registrano diversi orientamenti della giurisprudenza amministrativa, in senso al Consiglio di Stato in prevalenza nel senso che sono ammessi atti stragiudiziali di interruzione dell’actio iudicati (Cons. St., III, 28.2.2014 n. 945; Id., III, 22.12.2014 n. 6296; Id., VI, 30.12.2014 n. 6432; Id., III, 23.11.2017 n. 5448; CGARS, 11.12.2017 n. 544); mentre la tesi opposta è stata affermata anteriormente all’entrata in vigore del c.p.a. (Cons. St., V, 16.3.1999 n. 274), e sembra trovare fondamento in una risalente pronuncia dell’Adunanza plenaria (Cons. St., ad. plen. n. 5/1991).

Alla plenaria va sottoposta la questione se il termine decennale per l’actio iudicati, qualificato come di prescrizione dall’art. 114 c.p.a., sia un termine processuale suscettibile di interruzione solo con l’esercizio dell’azione di ottemperanza, o sia invece un termine sostanziale di esercizio del diritto riconosciuto dal giudicato, come tale suscettibile di interruzione anche mediante atti stragiudiziali.

Sebbene l’art. 114 c.p.a. utilizzi l’espressione “prescrizione” con riferimento all’azione di ottemperanza, laddove per tutte le altre azioni davanti al giudice amministrativo è previsto un termine di decadenza, occorre stabilire se la prescrizione riguardi il diritto di azione e possa essere interrotta solo con l’esercizio dell’azione, o il diritto sostanziale riconosciuto dal giudicato, sicché il termine possa essere interrotto anche con atti stragiudiziali.

7.1. Al fine di evitare il radicalizzarsi di un contrasto giurisprudenziale già parzialmente riscontrato, è indispensabile delineare l’esatta natura giuridica del termine cui è sottoposta l’azione di ottemperanza (decadenza o prescrizione, prescrizione sostanziale o processuale) ed occorre individuare gli atti che possano determinare l’eventuale interruzione del termine stesso, in ipotesi ritenuto prescrizionale, alla stregua del rapporto che sussiste tra l’azione di ottemperanza e la posizione giuridica che con l’azione si intende far valere.

7.2. Le decisioni giurisprudenziali sono, allo stato, concordi nel definire il termine decennale previsto per la proposizione dell’azione di ottemperanza quale termine di prescrizione e non di decadenza.

Deve rilevarsi che a tale conclusione si è giunti a seguito della revisione di precedenti orientamenti formatisi prima dell’entrata in vigore del vigente codice di procedura amministrativa.

Si legge nella sentenza n. 6432 del 2014 della sesta sezione del Consiglio di Stato che “Non ignora il Collegio che parte della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (peraltro, formatasi anteriormente all’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo) avesse affermato che l’azione per l’ottemperanza del giudicato andasse, a pena d'inammissibilità, proposta entro dieci anni, termine da considerare decadenziale e non prescrizionale e, come tale, non idoneo ad essere interrotto se non con la proposizione del relativo ricorso ai sensi dell’articolo 37 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034 (Cons. St., V, 16 marzo 1999, n. 274).”

Nondimeno, ritiene qui il Collegio che prevalenti ragioni sistematiche depongano nel senso dell’adesione all’opposto assunto che individua il richiamato termine come prescrizionale (termine che, pertanto, consente di certo l’adozione di atti interruttivi)”.

Se sul punto non si registrano orientamenti giurisprudenziali di segno opposto appare opportuna una riflessione aggiornata sulla natura del termine decennale alla stregua anche delle caratteristiche nuove che, nel tempo, ha assunto il giudizio di ottemperanza.

7.3. Il Collegio rileva, invece, un evidente contrasto di giurisprudenza quanto all’esatta individuazione degli atti idonei ad interrompere il termine decennale entro cui l’azione di ottemperanza deve essere proposta.

Il contrasto è “velato” e si rinviene nel corpo motivazionale delle sentenze che, a titolo esemplificativo, si citeranno quali esempi dei diversi e contrastanti orientamenti.

7.3.1. Nell’arresto giurisprudenziale di seguito citato si riscontra traccia della tesi secondo cui l’interruzione del termine può avvenire con una azione di ottemperanza, anche davanti a giudice incompetente: la sentenza n. 5558 del 2011 condividendo la qualifica prescrizionale del termine certifica che lo stesso debba considerarsi interrotto perché “ essendo il termine per la proposizione del giudizio di ottemperanza fissato a pena di prescrizione e non di decadenza, appare ineludibile che il ricorso per ottemperanza proposto per ottenere l’esecuzione della sentenza (…) fosse ammissibile, in quanto il termine prescrizionale era stato interrotto dalla proposizione del precedente ricorso per ottemperanza n. (…), definito con la sentenza n. (…)”.

L’interruzione del termine ritenuto prescrizionale è dovuto all’atto di proposizione di azione giudiziale.

7.3.2. Diversamente opina la sentenza della terza sezione del Consiglio di Stato n. 94 del 21 novembre 2013. La sentenza premette che: “Il Collegio osserva che l'esecuzione delle pronunce del giudice costituisce un obbligo per la p.a. ed il giudizio di ottemperanza non è un giudizio impugnatorio, tendendo esclusivamente l'azione medesima ad adeguare la situazione di fatto a quella di diritto risultante dal giudicato.

Pertanto, il termine decennale per l’esercizio dell’actio iudicati di cui l’art. 114 c.p.a. è termine di prescrizione e non di decadenza (…).”

Continua la sentenza affermando che:

“Trattandosi di termine prescrizionale deve intendersi soggetto ad interruzione; conformemente al principio del giusto processo, di cui all'art. 111 Cost., richiamato dall'art. 2 del codice del processo amministrativo, vanno privilegiate, nell'interpretazione delle norme processuali, le soluzioni che agevolino la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini (…).

Conseguentemente, appare ineludibile che il ricorso per ottemperanza proposto per ottenere l'esecuzione della sentenza (…) fosse ammissibile, in quanto l’interessato aveva compiuto atti interruttivi, ex art. 2943 c.c.

Risulta dagli atti di causa, infatti, che il ricorrente aveva chiesto alla ASL di competenza e alla Regione l’ottemperanza alla sentenza con i seguenti atti:

- atto di diffida notificato alla regione Puglia e all’Unità sanitaria locale BA/1 in data (…);

- atto di diffida del (…), notificato (…) in data (…);

- istanza di tentativo di conciliazione al Collegio di conciliazione presso (…), in data (…), notificato (…), con raccomandata in data (…);

- istanza, datata (…) a provvedere all’ottemperanza alla sentenza n. (…), inviata (…) con raccomandata del (…), ricevuta al protocollo dell’Azienda (…);

- istanza/diffida a provvedere dell’ (…) rivolta al (…), nella qualità di (…), acquisita al prot. del (…).

Il ricorrente con tali atti aveva chiesto ripetutamente il ripristino della propria posizione retributivo- previdenziale, manifestando inequivocabilmente la volontà di conservare il diritto all’esecuzione del giudicato.”

In questa decisione nessuno degli atti ritenuti idonei a provocare l’interruzione del termine è un atto di proposizione di azione giudiziale.

7.4. Le sentenze indicative di contrastanti orientamenti giurisprudenziali impongono una delibazione dell’Adunanza Plenaria che eviti il permanere di un evidente contrasto.

La risoluzione del contrasto è decisiva per la soluzione del caso oggetto del presente giudizio.

Se dovessero essere considerati degni di rilievo gli atti stragiudiziali, l’azione per l’ottemperanza degli eredi del prof. Maiorana sarebbe proposta utilmente nei termini, in caso contrario il Collegio dovrebbe ritenere fondata l’eccezione di tardività dell’azione formulata dalla controparte Università di Catania.

7.5. Il Collegio offre di seguito la propria posizione sulla questione di diritto che la causa pone.

Osserva il collegio remittente che non è convincente la tesi che ammette atti interruttivi stragiudiziali dell’actio iudicati, per plurime ragioni:

a) sarebbe una soluzione del tutto eccentrica e distonica rispetto al sistema delle azioni nel processo amministrativo in cui il termine per l’azione è interrotto solo ed esclusivamente dall’esercizio dell’azione e non da atti stragiudiziali;

b) l’art. 114 c. 1 c.p.a., laddove afferma che “l’azione si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza” si riferisce chiaramente alla prescrizione dell’azione e non del diritto sottostante;

c) l’art. 2953 c.c., a tenore del quale “i diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni”, si riferisce ai diritti sostanziali e non all’azione processuale, e non pare applicabile nel processo amministrativo, dato che esiste la norma specifica e speciale dell’art. 114 c. 1 c.p.a.;

d) poco rileva che sia previsto per l’actio iudicati un termine di prescrizione e non di decadenza; infatti, gli atti interruttivi della prescrizione dei diritti devono concretarsi in atti di esercizio dei diritti medesimi che siano pertinenti e idonei ad esercitare i diritti stessi; e quando si tratta del diritto di azione processuale, l’unico atto di esercizio del diritto pertinente e appropriato è l’esercizio dell’azione stessa;

e) e, invero, la stessa Adunanza plenaria n. 5/1991 dà per presupposto che solo l’esercizio dell’actio iudicati può interrompere il relativo termine; anche il precedente della Cassazione, sez. un. 2.4.2007 n. 8085 non si riferisce al caso di atti interruttivi stragiudiziali del termine dell’actio iudicati; altri precedenti del Consiglio di Stato, pur ammettendo atti interruttivi del termine decennale dell’actio iudicati, si riferiscono ad atti interruttivi giudiziali, mediante azione di ottemperanza o altro tipo di azione processuale (Cons. St., V, 18.10.2011 n. 5558; Id., V, 16.11.2018 n. 6470).

f) anche quando l’actio iudicati deve essere preceduta da una previa diffida o da un previo termine dilatorio, non si dubita che tali atti o termini non impediscono il decorso del termine di prescrizione e dunque non hanno effetto interruttivo;

g) dirimente parrebbe la considerazione che i termini processuali sono ordinariamente perentori, e come tali, sottratti alla disponibilità delle parti.

Pertanto ad avviso del Collegio non è concepibile un atto stragiudiziale interruttivo del termine del diritto di azione processuale.

La concezione “estensiva” degli atti interruttivi è stata sovente agganciata a due interessi che l’ordinamento riterrebbe degni di prevalente tutela: le disposizioni del giudice amministrativo devono comunque essere eseguite, la tutela dei diritti del ricorrente è imposta da una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme oggetto del presente scrutinio.

Non può sottacersi come sia maturata, anche nella giurisprudenza amministrativa, la consapevolezza della necessità di operare un adeguato bilanciamento tra gli interessi appena enunciati e gli interessi sempre più ritenuti degni di considerazione. Tra questi il più rilevane è certamente quello della certezza e stabilità delle relazioni giuridiche.

Ma il primo principio da osservare alla stregua della giurisprudenza costituzionale è il principio di ragionevolezza.

Nel caso di specie nell’accedere alla tesi “estensiva” degli atti che provocano l’interruzione, sul piano pratico si esporrebbe un settore in cui le situazioni soggettive sono indisponibili perché è in gioco l’interesse pubblico, al rischio che l’azione amministrativa sia condizionata da iniziative private per un lasso temporale lunghissimo e, nei fatti, nella disponibilità di una sola delle parti processuali.

Nel caso oggetto del presente scrutinio l’Università di Catania si trova a resistere ad una richiesta di ottemperanza di una sentenza che riconosce il debito a favore dei ricorrenti emessa circa venti anni or sono senza che nelle more i titolari della posizione creditizia abbiano chiesto la tutela del giudice amministrativo.

La soluzione che ammette atti stragiudiziali interruttivi dell’actio iudicati può condurre al paradossale risultato di una serie di atti interruttivi stragiudiziali fatti nell’imminenza dello scadere dei dieci anni, reiterati ogni dieci anni, per un tempo potenzialmente indefinito. Una esegesi che conduce a un risultato paradossale è perciò solo da rigettare.

Una riflessione similare è stata affrontata anche dalla giurisprudenza civile a proposito del termine in cui si può proporre l’azione revocatoria pervenendo, sui temi generali, a conclusioni che devono condividersi.

La riflessione della giurisprudenza del giudice civile in materia di processo del lavoro trae origine dalla sentenza delle Sez. un. civili n. 24822 del 2015.

Nella motivazione della sentenza n. 10016 del 2.4.2017, poi, si ribadisce “La preclusione, che costituisce diritto vivente, all'utilizzazione di atti interruttivi diversi dalla proposizione dell'azione giudiziale”.

Ad avviso del Collegio l’opposta esegesi, che conduce al risultato paradossale sopra evidenziato, esporrebbe l’art. 114 c. 1 c.p.a. a dubbi di legittimità costituzionale quantomeno in relazione all’art. 111 Cost. e 97 Cost., sotto il profilo della ragionevole durata dei processi e del buon andamento della pubblica amministrazione.

8. Si rimettono pertanto all’Adunanza Plenaria i seguenti quesiti:

“a) se il termine di prescrizione decennale dell’actio iudicati previsto dall’art. 114 c. 1 c.p.a. riguardi il diritto di azione o il diritto sostanziale riconosciuto dal giudicato;

b) se, ritenuta la prescrizione riferita all’azione processuale, secondo il chiaro tenore letterale dell’art. 114 c. 1 c.p.a., il termine di prescrizione possa essere interrotto esclusivamente mediante l’esercizio dell’azione (come sembra desumersi dall’Adunanza plenaria n. 5/1991 resa anteriormente all’entrata in vigore del c.p.a. del 2010), (anche davanti a giudice incompetente o privo di giurisdizione e fatti salvi gli effetti della translatio iudicii) o anche mediante atti stragiudiziali volti a conseguire il bene della vita riconosciuto dal giudicato;

c) se, pertanto, al di là del nomen iuris di prescrizione utilizzato dall’art. 114 c. 1 c.p.a., il termine di esercizio dell’actio iudicati operi, nella sostanza, come un termine di decadenza, al pari di tutti gli altri termini previsti dal c.p.a. per l’esercizio di azioni davanti al giudice amministrativo, e si presti, pertanto, ad una esegesi sistematica e armonica con l’impianto del c.p.a.;

d) se, in subordine, ove si ritenesse che l’art. 114 c. 1 c.p.a. vada interpretato nel senso di consentire atti stragiudiziali di interruzione dell’actio iudicati, non si profili un dubbio di legittimità costituzionale della previsione quanto meno in relazione agli artt. 111 e 97 Cost., per violazione dei principi di ragionevole durata dei processi e di buon andamento dell’Amministrazione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ne dispone il deferimento all'adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all'adunanza plenaria.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2020, tenutasi da remoto in videoconferenza, con l'intervento dei magistrati:

Rosanna De Nictolis, Presidente

Carlo Modica de Mohac, Consigliere

Sara Raffaella Molinaro, Consigliere

Maria Immordino, Consigliere

Antonino Caleca, Consigliere, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Antonino Caleca Rosanna De Nictolis
 
 
 

IL SEGRETARIO


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