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Consiglio di Stato, Adunanza Sezione I, 24/3/2020 n. 111
Parere sulle Linee Guida Anac in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell'art. 54-bis, del dlgs. n. 165/2001 (c.d. whistleblowing)

Materia: lavoro / disciplina

Numero 00615/2020 e data 24/03/2020 Spedizione

Repubblica Italiana

Consiglio di Stato

Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 4 marzo 2020


NUMERO AFFARE 00111/2020

OGGETTO:

Autorità Nazionale Anticorruzione.


Richiesta di parere in ordine al documento «Linee Guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell'art. 54-bis, del dlgs. n. 165/2001 (c.d. whistleblowing)»;

LA SEZIONE

Vista la nota di trasmissione prot. n. 0008219 del 31 gennaio 2020, con la quale l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha chiesto il parere del Consiglio di Stato, formulando quesiti, sul documento «Linee Guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell'art. 54-bis, del dlgs. n. 165/2001 (c.d. whistleblowing)»; 

Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Claudio Tucciarelli;


Premesso e considerato: 

1. La richiesta dell’ANAC. 

Con nota del 31 gennaio 2020 (prot. 0008219), l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha richiesto al Consiglio di Stato il parere, pur non espressamente previsto dalla normativa vigente, sul documento «Linee Guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell'art. 54-bis, del dlgs. n. 165/2001 (c.d. whistleblowing)», in ragione della rilevanza delle questioni trattate. 

Il riferimento legislativo è costituito dalla legge 30 novembre 2017, n. 179, recante «Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato», il cui articolo 1, comma 5, stabilisce che «l'ANAC, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, adotta apposite linee guida relative alle procedure per la presentazione e la gestione delle segnalazioni». 

Il Consiglio dell'ANAC, nell'adunanza del 23 luglio 2019, ha adottato, in via preliminare, lo schema di Linee Guida, successivamente posto in consultazione pubblica dal 24 luglio al 15 settembre 2019. 

Il Consiglio dell'ANAC ha esaminato nuovamente lo schema di Linee guida nell'adunanza del 23 ottobre 2019 e lo ha approvato in quella del 30 ottobre, tenendo conto delle osservazioni pervenute. In considerazione del rilievo delle Linee guida, nell'adunanza del 23 ottobre il Consiglio ha altresì deliberato di inviare il testo delle Linee guida, una volta acquisito il parere del Garante per la protezione dei dati personali, anche al Consiglio di Stato. 

Come evidenziato nella richiesta dell’ANAC, il rilievo delle questioni trattate, e in particolare le ricadute che possono profilarsi in termini di tutela dei dipendenti pubblici che si espongono con segnalazioni di fatti corruttivi, hanno spinto l’ANAC a trasmettere il documento al Consiglio di Stato. 

La nota di richiesta dell’ANAC precisa che le Linee guida «hanno l'obiettivo di fornire indicazioni sull'applicazione della normativa e sono rivolte alle pubbliche amministrazioni e agli altri enti indicati dalla legge tenuti a prevedere misure di tutela per il dipendente che segnala condotte illecite che attengono all'amministrazione di appartenenza. Esse contengono indicazioni utili anche per i possibili "segnalanti". Le Linee guida sono, altresì, volte a consentire alle amministrazioni e agli altri soggetti destinatari delle stesse di adempiere correttamente agli obblighi derivanti dalla disciplina di protezione dei dati personali (Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e d.lgs. 30 giugno 2003, n. 19, adeguato alle disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679 tramite il d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101)». 

Nella nota di richiesta, l’ANAC richiama l’attenzione sui contenuti del parere reso dal Garante per la protezione dei dati personali, adottato il 16 dicembre 2019 e allegato alla nota dell’ANAC, contenente alcune condizioni e osservazioni (sull’argomento si tornerà oltre). L’ANAC segnala che la prima condizione, sull’ambito oggettivo di applicazione della legge e il concetto di “atti illeciti”, contenuta nel parere del Garante ha suscitato perplessità (anche su questo argomento si tornerà oltre). 

Le Linee guida sono state integrate e, quindi, nuovamente approvate dal Consiglio dell'ANAC nell'adunanza del 13 gennaio 2020. 

Nella medesima nota, l’ANAC manifesta l’auspicio, in particolare, che il Consiglio di Stato possa esprimere una valutazione in relazione a quanto contenuto nella Parte seconda delle Linee guida in merito all'individuazione e alle funzioni del c.d. "custode dell'identità", soggetto non esplicitamente previsto dalla normativa, di cui l’ANAC ritiene opportuna l’individuazione da parte dell'amministrazione a maggior tutela dell'identità del segnalante.  

2. La base legislativa. 

2.1 La tutela dei lavoratori del settore pubblico che segnalino illeciti, già prevista da numerosi atti internazionali (es. la Convenzione ONU contro la corruzione del 2003, art. 33, ratificata dall'Italia con la legge n. 116 del 2009; la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla corruzione, art. 9, ratificata con la legge n. 112 del 2012; le raccomandazioni del Working group on bribery, incaricato del monitoraggio sull'attuazione della convenzione OCSE del 1997 sulla lotta alla corruzione degli impiegati pubblici nelle operazioni economiche internazionali (ratificata con legge n. 300/2000); le raccomandazioni del GRECO - Groupe d'Etats contre la corruption, organo del Consiglio d'Europa deputato al controllo dell'adeguamento degli Stati alle misure anti-corruzione; i Guiding principles for whistleblower protection legislation, adottati dal G-20 Anti-corruption working group, costituito in ambito OCSE) è stata introdotta nell'ordinamento italiano dalla legge n. 190 del 2012 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione), che ha previsto – per la sola pubblica amministrazione - una prima disciplina sulla protezione del dipendente pubblico che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del suo ruolo di dipendente pubblico.  

A tal fine, la legge n. 190 ha introdotto nel Testo unico del pubblico impiego (decreto legislativo n. 165 del 2001) l'articolo 54-bis (poi modificato dal decreto-legge n. 90 del 2014, che ha introdotto il riferimento all’ANAC), in base al quale: fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all'autorità giudiziaria o alla Corte dei conti o all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia. Il medesimo articolo 54-bis prevedeva che, in sede disciplinare, l'identità del segnalante non potesse essere rivelata, senza il suo consenso, sempre che la contestazione dell'addebito disciplinare fosse fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Invece, quando la contestazione fosse fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l'identità poteva essere rivelata ove la sua conoscenza risultasse assolutamente indispensabile per la difesa dell'incolpato. 

Stabiliva poi l’art. 54-bis che l'adozione di misure discriminatorie dovesse essere segnalata al Dipartimento della funzione pubblica, per i provvedimenti di competenza, dall'interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'amministrazione nella quale le stesse misure sono state poste in essere. A tutela del dipendente le segnalazioni erano sottratte al diritto di accesso di cui alla legge n. 241 del 1990. 

Il Piano nazionale anticorruzione (PNA) efficace nell’aprile 2015, al par 3.1.11, ha previsto che le pubbliche amministrazioni sono tenute ad adottare i necessari accorgimenti tecnici affinché trovi attuazione la tutela del dipendente che effettua segnalazioni. L'adozione delle iniziative necessarie deve essere prevista nell'ambito del Piano triennale di prevenzione della corruzione (PTPC) come intervento da realizzare con tempestività. 

L'ANAC, all'esito di una consultazione pubblica conclusasi nel marzo 2015, ha poi emanato (Determinazione n. 6 del 28 aprile 2015, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 14 maggio 2015) specifiche Linee guida – all’epoca non espressamente previste dalla legge per il whistleblowing - per le pubbliche amministrazioni in merito ai modelli da adottare per la tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti. Nel documento dell’epoca, l’ANAC espressamente richiamava l’esigenza di completare la protezione generale e astratta della norma primaria con concrete misure di tutela del dipendente. L’ANAC fondò l’adozione delle linee guida su un generale potere di regolazione relativo alla tutela del dipendente pubblico che segnala condotte illecite, a partire dalla protezione che deve essere fornita dall’amministrazione di appartenenza del dipendente stesso, inquadrando tale potere in quello di indirizzo sulle misure di prevenzione della corruzione nei confronti di tutte le pubbliche amministrazioni, in cui rientra il potere di predisporre il PNA.

Inoltre, obblighi di segnalazione di reati da parte del pubblico ufficiale che ne sia venuto a conoscenza nell'esercizio o a causa delle sue funzioni sono previsti dall'art. 361 c.p.: l'omissione o il ritardo di denuncia all'autorità giudiziaria, o ad un'altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, comporta la pena della multa da 30 a 516 euro; la pena è invece la reclusione fino ad un anno, se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria che ha avuto comunque notizia di un reato del quale doveva fare rapporto.  

2.2 Con la legge n. 179/2017 è stata ulteriormente precisata la disciplina del whistleblowing.

E’ stata introdotta una specifica disciplina riferita al settore privato (art. 2) e, con riguardo alle segnalazioni o denunce nel settore pubblico o privato, è stato previsto, come giusta causa di rivelazione del segreto d'ufficio (art. 326 c.p.), del segreto professionale (art. 622 c.p.), del segreto scientifico e industriale (art. 623 c.p.) nonché di violazione dell'obbligo di fedeltà all'imprenditore da parte del prestatore di lavoro (art. 2105 c.c.), il perseguimento, da parte del dipendente pubblico o privato che segnali illeciti, dell'interesse all'integrità delle amministrazioni (sia pubbliche che private) nonché alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni (art. 3).

Per quanto maggiormente rileva in questa sede, l’art. 1 della legge n. 179 ha sostituito in toto l’art. 54-bis del Testo unico del pubblico impiego e, al comma 5, ha stabilito che:

-l'ANAC, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, deve adottare apposite linee guida relative alle procedure per la presentazione e la gestione delle segnalazioni;

-le linee guida devono prevedere l'utilizzo di modalità anche informatiche;

-le linee guida devono promuovere il ricorso a strumenti di crittografia per garantire la riservatezza dell'identità del segnalante e per il contenuto delle segnalazioni e della relativa documentazione.

L’attribuzione espressa all’ANAC di un potere/dovere di adozione di linee guida è inserito nella più generale disciplina delle segnalazioni nel settore pubblico. 

Infatti, il nuovo art. 54-bis:

-riguardo ai possibili soggetti destinatari della segnalazione, ha sostituito il riferimento al "superiore gerarchico" con quello al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza; resta ferma l'ipotesi di segnalazione all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) o di denuncia all'autorità giudiziaria ordinaria o contabile (comma 1);

-sotto il profilo soggettivo, riguarda - oltre ai dipendenti della pubblica amministrazione, nell'accezione allargata di cui all'art. 1, comma 2, del TU del pubblico impiego, ivi compreso il personale in regime di diritto pubblico - anche i dipendenti degli enti pubblici economici, quelli degli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico (secondo la nozione di società controllata di cui all'art. 2359 del codice civile), i lavoratori e i collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell'amministrazione pubblica (comma 2);

- sotto il profilo oggettivo, specifica che l'ambito di applicazione riguarda le segnalazioni o denunce effettuate nell'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione;

- stabilisce, con riguardo alla tutela relativa alla identità del segnalante, il divieto di rivelare l'identità del segnalante l'illecito, oltre che nel procedimento disciplinare, anche in quello penale e contabile. Nel procedimento penale, la segretezza dell'identità è coperta in relazione e nei limiti del segreto degli atti d'indagine di cui all'articolo 329 c.p.p. Nel processo contabile, l'identità non può essere rivelata fino alla fine della fase istruttoria. Nel procedimento disciplinare rimane confermato che l'identità del segnalante non può essere rivelata senza il suo consenso (sempre che la contestazione disciplinare sia basata su elementi diversi da quelli su cui si basa la segnalazione); tuttavia, se la contestazione disciplinare sia fondata (anche solo parzialmente) sulla segnalazione, l'identità può essere rivelata dietro consenso del segnalante, diversamente rimanendo inutilizzabile la segnalazione, ai fini del procedimento disciplinare (comma 3). La scelta di fondo è, ad ogni modo, l'esclusione di segnalazioni in forma anonima. E' confermato che la riservatezza della segnalazione importa la sua sottrazione all'accesso amministrativo quale disciplinato dalla legge n. 241 del 1990 (comma 4);

- affida all'ANAC, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, la predisposizione, per l’appunto, di linee guida per la presentazione e gestione delle segnalazioni che garantiscano la riservatezza del dipendente segnalante (è questa la base legislativa che fonda l’adozione dello schema di linee guida ora in esame); si prevedono a tal fine modalità informatiche e, "ove possibile", strumenti di crittografia a garanzia della riservatezza del segnalante (comma 5);

- con riguardo alle sanzioni, se durante l'istruttoria dell'ANAC sia accertata l'adozione di misure discriminatorie nei confronti del dipendente, l'Autorità anticorruzione irroga una sanzione amministrativa pecuniaria a carico del responsabile da 5.000 a 30.000 euro, fermi restando gli altri profili di responsabilità. All'adozione di procedure non conformi alle citate linee guida o all'assenza di procedure per la gestione delle segnalazioni consegue una sanzione da 10.000 a 50.000 euro; l'ANAC applica la sanzione amministrativa da 10.000 a 50.000 euro a carico del responsabile, nel caso di mancato svolgimento di attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute. L'ANAC determina la misura della sanzione, tenuto conto delle dimensioni dell'amministrazione cui si riferisce la segnalazione (comma 6);

- spetta all'amministrazione o all'ente l'onere di provare che le misure discriminatorie o ritorsive adottate nei confronti del segnalante sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione e gli atti discriminatori o ritorsivi adottati dall'amministrazione o dall'ente sono nulli (comma 7);

- prevede il diritto del segnalante licenziato alla reintegra nel posto di lavoro da parte del giudice, al risarcimento del danno subito e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dovuti dalla data di licenziamento a quella di reintegrazione; a tal fine è stabilita l'applicazione alle pubbliche amministrazioni dell'articolo 2 del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23 (Licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale) (comma 8);

- prevede una clausola di esclusione, in base a cui le tutele non sono garantite alle segnalazioni rispetto alle quali sia stata accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque reati commessi con la denuncia del medesimo segnalante ovvero la sua responsabilità civile, nei casi di dolo o colpa grave (comma 9, disposizione analoga era già contenuta nel previgente articolo 54-bis ma era richiesta la definitività della sentenza e non era presente il richiamo ai reati commessi con la denuncia).

E’ dunque in questo quadro legislativo che rientra l’adozione delle linee guida dell’ANAC, da adottare in base all’art. 54-bis, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001, come da ultimo sostituito dall’art. 1 della legge n. 179/2017.

3. I contenuti delle linee guida in esame.

Le linee guida in esame sono suddivise in tre parti. Il loro contenuto, in sintesi, è il seguente. 

Nella prima parte, si esamina l'ambito soggettivo di applicazione dell'istituto, con riferimento sia ai soggetti (pubbliche amministrazioni e altri enti) tenuti a dare attuazione alla normativa, sia ai soggetti - c.d. whistleblowers - beneficiari del regime di tutela. Si forniscono anche indicazioni sulle caratteristiche e sull'oggetto della segnalazione, sul trattamento delle segnalazioni anonime, sulle modalità e i tempi di tutela, nonché sulle condizioni che impediscono di beneficiare della stessa. Sono partitamente trattate la tutela della riservatezza (compresa quella del segnalato), la tutela dalle discriminazioni o ritorsioni e la giusta causa di rivelazione di notizie coperte dall’obbligo di segreto.  

Nella seconda parte, si declinano, in linea con quanto disposto dalla normativa, i principi di carattere generale che riguardano le modalità di gestione della segnalazione preferibilmente in via informatizzata. Si definisce il ruolo fondamentale svolto dal Responsabile per la prevenzione della corruzione e la trasparenza (RPCT) e si forniscono indicazioni operative sulle procedure da seguire per la trattazione delle segnalazioni. In particolare sono indicate le fasi della procedura, secondo quanto delineato dal Piano triennale di prevenzione della corruzione e della trasparenza o da altro atto organizzativo, e sono delineate le modalità di gestione delle segnalazioni secondo procedure informatizzate e tradizionali.

Nella terza parte si dà conto delle procedure gestite da ANAC, cui è attribuito uno specifico potere sanzionatorio nei confronti delle amministrazioni e degli enti con riferimento sia alla irregolare gestione delle segnalazioni di condotte illecite, sia alla eventuale adozione di misure ritorsive nei confronti dei segnalanti. Sono pertanto indicate: le modalità di presentazione delle segnalazioni e delle comunicazioni, sia mediante la piattaforma informatica dell'ANAC sia mediante protocollo generale dell'ANAC; la gestione delle segnalazioni; la gestione delle comunicazioni di misure ritorsive o discriminatorie, con una sezione dedicata alla gestione delle comunicazioni di misure ritorsive adottate dalle imprese fornitrici di beni o servizi o che realizzano opere in favore dell'amministrazione pubblica. Infine è trattata la perdita delle tutele nel corso del procedimento ANAC.

4. Il parere del Garante per la protezione dei dati personali.

Come già ricordato, il Garante per la protezione dei dati personali ha adottato il proprio parere il 16 dicembre 2019, allegato alla nota di richiesta dell’ANAC. Il Garante, dopo avere sottolineato che il parere è espresso dopo che lo schema di linee guida è stato adottato tenendo conto in larga parte delle indicazioni fornite nel corso di interlocuzioni con l’ANAC, volte ad assicurare il rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali, ha espresso un parere favorevole con tre condizioni e tredici osservazioni.

Nel parere ha rilevato, in via prioritaria, l'esigenza di modellare le indicazioni rinvenibili nello schema di linee guida sul dettato letterale della disciplina di settore, nelle parti in cui hanno una ricaduta diretta anche sulla tutela delle informazioni personali. In particolare, le tre condizioni sono le seguenti:

1.il riferimento a "casi in cui si configurano condotte, situazioni, condizioni organizzative e individuali che potrebbero essere prodromiche, ovvero costituire un ambiente favorevole alla commissione di fatto corruttivi in senso proprio" (parte I, par. 2.2. dello schema di linee guida) non risulta pienamente aderente al tenore letterale dell'art. 54-bis del d.lgs. n. 165/2001, che si riferisce invece a "condotte illecite". L'estensione dell'ambito oggettivo dell'istituto, in tali termini, prefigurando la possibile acquisizione e gestione di segnalazioni riferite anche a circostanze generiche riconducibili a una fase antecedente all'eventuale commissione di possibili illeciti, rischia di comportare trattamenti di dati personali non pienamente riconducibili all'ambito di trattamento previsto dalla disciplina di settore. La prima condizione posta dal Garante ha suscitato alcune perplessità nell’ANAC. Essa si riferisce all'ambito oggettivo di applicazione della legge n. 179 del 2017 e all'interpretazione del concetto di "condotte illecite" fornito dall'Autorità nello schema di Linee Guida (parte I, 5.2.2.) laddove in esso si ricomprendono «casi in cui si configurano condotte, situazioni, condizioni organizzative e individuali che potrebbero essere prodromiche, ovvero costituire un ambiente favorevole alla commissione di fatto corruttivi in senso proprio». In relazione alla prima condizione, l'Autorità ha ritenuto opportuno chiarire nelle Linee guida (parte I, §. 2.2.) che «non è necessario che il dipendente sia certo dell'effettivo accadimento dei fatti denunciati e/ o dell'identità dell'autore degli stessi ma che ne dia ragionevole e circostanziata evidenza nella segnalazione stessa». Sebbene la Sezione non debba pronunciarsi sul parere del Garante, può affrontare le diverse questioni, già presenti nel documento in esame, a partire da quelle su cui l’ANAC stessa ha richiamato l’attenzione;

2.occorre chiarire che al soggetto segnalato, presunto autore dell'illecito, non è preclusa in termini assoluti la possibilità di esercitare i diritti previsti dagli artt. da 15 a 22 del Regolamento (UE) 2016/679, sulla base di quanto previsto dall’art. 160 del Codice in materia di protezione dei dati personali. Tale condizione è stata recepita nello schema trasmesso al Consiglio di Stato;

3.la tabella recante, benché a titolo meramente semplificativo, una elencazione minuziosa delle attività che potrebbero configurare le "condotte illecite" suscettibili di denuncia ai sensi dell'art. 54-bis del d.lgs. n. 165/2001 (parte I, par. 2.2, pag. 12), rischia di indurre gli enti tenuti a garantire la tutela dei segnalanti ad effettuare un trattamento di dati personale eccedente rispetto a quelli previsti dalla normativa; pertanto, si ritiene che la tabella dovrebbe esser rivista al fine di ricomprendere ipotesi di carattere più generale. Tale tabella non risulta più presente nello schema trasmesso al Consiglio di Stato. 

5. La natura delle linee guida.

5.1 Per potere valutare lo schema in esame e i relativi effetti, la Sezione ritiene che occorra preliminarmente definire, per quanto possibile, la natura delle linee guida, da tempo all’attenzione di dottrina e giurisprudenza, e valutarne la riferibilità con riguardo al caso di specie.

Senza pretesa di volere qui ricostruire in astratto la categoria delle linee guida, quale atto regolativo autonomo che ha origine in settori ad alto tasso di tecnicismo (a partire in origine dal settore medico, sotto forma di raccomandazioni), come parametro integrativo della legge, e che si è sviluppato poi secondo moduli sempre più prescrittivi e di tipo normativo (con profili talora considerati problematici quanto al rispetto del principio di legalità), merita rammentare che nel settore dei contratti pubblici la legge delega n. 11/2016 inseriva le linee guida ANAC tra gli strumenti di “regolamentazione flessibile, anche dotati di efficacia vincolante” (art. 1, comma 1, lettera t). Veniva così composto quello che, ad alcuni, è parso un ossimoro.

Si sono rivelati poi incerti i confini e l’individuazione, volta per volta, delle linee guida vincolanti e di quelle non vincolanti e, specie in dottrina, la loro riconducibilità alle fonti del diritto in senso proprio.

Molteplici possono essere gli indicatori del carattere vincolante o meno delle linee guida. A titolo esemplificativo sono stati individuati in dottrina la sensibilità della materia, l’espressa esclusione per legge, la concreta formulazione come precetto o mero indirizzo, la capacità integrativa delle disposizioni di rango primario. Viene talvolta evocata la categoria giuridica di matrice anglosassone della soft law o anche quella delle direttive, da cui sarebbe possibile discostarsi solo in base a fondati motivi.

In breve è utile effettuare una sintetica disamina delle più recenti conclusioni del giudice amministrativo e costituzionale in argomento, per poi verificare se e in che misura possano attagliarsi al caso di specie.

5.2 La giurisprudenza amministrativa è intervenuta più volte sul tema delle linee guida.

5.2.1 Con riguardo alla classificazione delle linee guida, è da richiamare la sintesi da ultimo delineata dal Consiglio di Stato, Sez. Atti normativi, nel parere n. 3235/2019 sullo schema relativo alle “Linee guida recanti indicazioni in materia di affidamenti di servizi sociali”, con riferimento agli esiti giurisprudenziali in ordine alla definizione delle linee guida ANAC richiamate dalla disposizione generale di cui all’articolo 213, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016, secondo cui l’ANAC esercita funzioni di promozione dell’efficienza e della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti “attraverso linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, comunque denominati”. Il Consiglio di Stato, in occasione dell’istituzione della Commissione speciale per l’esame dello schema di decreto legislativo recante il nuovo codice dei contratti pubblici, con parere n. 855 del 1° aprile 2016, ha ritenuto di poter enucleare tre distinte specie di linee guida:

- linee guida adottate con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti, su proposta dell’ANAC, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari;

- linee guida adottate con delibera dell’ANAC a carattere vincolante erga omnes;

- linee guida adottate dall’ANAC a carattere non vincolante, alle quali dovrebbe assegnarsi un valore di indirizzo a fini di orientamento dei comportamenti di stazioni appaltanti ed operatori economici.

Tale ricostruzione non mancava tuttavia di suscitare significative perplessità in merito ai criteri di distinzione tra atti vincolanti e non (alle tesi secondo cui il tenore letterale dell’articolo 213, comma 2, del d.lgs. 50/2016 non avrebbe consentito di riconoscere alle linee guida alcun valore vincolante, se non nelle ipotesi espressamente previste dalla legge, si opponevano quanti, valorizzando l’opportunità di una valutazione casistica, affermavano l’intrinseca efficacia obbligatoria degli atti che avessero trovato espressione in precetti attuativi o integrativi della fonte primaria).

A seguito dell’introduzione del nuovo comma 27-octies dell’articolo 216 del d.lgs. 50/2016, infatti, la categoria delle linee guida vincolanti appare significativamente ridimensionata dalla prospettata adozione, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettere a) e b), della l. 400/1988, di un regolamento unico recante disposizioni di esecuzione, attuazione e integrazione del codice dei contratti pubblici, in una serie di materie (non la totalità delle norme del codice dei contratti pubblici il cui contenuto precettivo può essere attuato o integrato dall’ANAC con linee guida vincolanti). Coerentemente a quanto sostenuto dal Consiglio di Stato, Sez. I, con parere n. 2627 del 17 ottobre 2019, l’intervento delle linee guida non vincolanti – e il corrispondente potere dell’ANAC in materia di appalti e concessioni – doveva ammettersi con riferimento alle disposizioni che disciplinano le procedure di affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (ivi comprese le concessioni) o l’esecuzione degli stessi; andava escluso, invece, che, al di fuori del perimetro ora indicato, l’ANAC abbia il potere di adottare linee guida, seppur di tipo non vincolante.

Concludeva il parere n. 3235/2019 sottolineando che tali conclusioni riguardano esclusivamente i poteri dell’ANAC riferibili al settore dei contratti pubblici; la Sezione, invece, non ha ritenuto di dovere (né di potere) estendere l’indagine agli altri poteri, anche regolamentari, attribuiti all’ANAC in differenti materie (trasparenza, anticorruzione, ecc…). 

5.2.2 E’ dunque evidente l’esigenza di individuare indicatori significativi per qualificare le linee guida come vincolanti o meno. A tal fine possono essere colti spunti rilevanti nella giurisprudenza del Consiglio di Stato.

Nel parere della Commissione speciale n. 1903/2016, il Consiglio di Stato ha ritenuto che le linee guida sull’affidamento dei contratti pubblici “sotto-soglia” possano essere annoverate tra le linee guida dell’ANAC non vincolanti, le quali, come il Consiglio aveva già avuto modo di precisare, sono anch’esse atti amministrativi generali, con conseguenziale applicazione dello statuto del provvedimento amministrativo e perseguono lo scopo di fornire indirizzi e istruzioni operative alle stazioni appaltanti. Il principio di legalità si atteggia, in questo caso, in modo ancora differente, in quanto il Codice in questi casi si è limitato per lo più ad autorizzare, con previsione generale, l’esercizio di tale potere dell’Autorità, al fine di garantire «la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorisce lo sviluppo delle migliori pratiche» (art. 213).

In tale occasione il Consiglio di Stato ha tratto un indicatore rilevante dalle “modalità di adozione osservate dall’ANAC”, che seguivano la forma discorsiva. La natura non vincolante delle linee guida giustificava, in questo caso, un minore rigore nell’enucleazione dell’indirizzo impartito all’amministrazione. In relazione al comportamento da osservare da parte delle stazioni appaltanti, il Consiglio ha rilevato che, se esse intendono discostarsi da quanto disposto dall’Autorità, devono adottare un atto che contenga una adeguata e puntuale motivazione, anche a fini di trasparenza, che indichi le ragioni della diversa scelta amministrativa.

Nel parere n. 1920/2016 sullo schema di regolamento ANAC per il rilascio dei pareri di precontenzioso ai sensi dell’art. 211 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, dopo avere riproposto la classificazione delle linee guida (vincolanti e non), la Commissione speciale del Consiglio di Stato ha stabilito che “il decreto in esame è essenzialmente rivolto all’interno, anche se con inevitabili ricadute sui terzi, mentre le linee guida vincolanti sono rivolte all’esterno; ciò conferma la sua natura di regolamento di organizzazione”.

Il Consiglio di Stato, Sez. Atti normativi, nel parere n. 2189/2019 ha ricostruito la partizione e, soprattutto, gli indicatori per distinguere linee guida vincolanti da quelle non vincolanti.

Nel parere viene richiamata una prima tesi dottrinaria, secondo cui le linee guida potevano essere considerate vincolanti solo nel caso in cui il legislatore le qualificasse espressamente come tali; in tutti gli altri casi avrebbero dovuto essere considerate linee guida non vincolanti. Tale opinione si fondava su due argomenti: è la stessa denominazione (“linee guida”) a far propendere per la natura non vincolante delle medesime linee guida, fatti salvi i casi in cui la legge stabilisca il contrario; in secondo luogo, è l’art. 213, comma 2, del codice che in via generale attribuisce all’autorità il potere di adottare “linee guida ...ed altri strumenti di regolazione flessibile”, così chiarendo che le linee guida appartengono essenzialmente alla c.d. soft law salvo che il legislatore espressamente affermi il contrario.

Per altra tesi, invece, la natura vincolante delle linee guida doveva essere ricostruita alla stregua della funzione loro demandata dal codice. Se le disposizioni del codice del 2016 attribuiscono alle linee guida il compito di integrare e attuare il precetto primario, allora ci si trova innanzi a linee guida vincolanti. Qualora invece il compito sia quello di dettare buone prassi applicative di norme già “complete”, allora si dovrebbe concludere per la natura non vincolante delle linee guida in questione. La natura vincolante sarebbe “consustanziale a talune delle regolazioni di cui ANAC è onerata ex lege” soprattutto nei casi in cui le materie “non possono che essere disciplinate attraverso norme precettive”. Sarebbe quindi necessario procedere ad una “disamina caso per caso” potendosi riconoscere il carattere non vincolante quando “si traducono o in esplicitazione dei principi generali... o in mere parafrasi o ripetizioni di norme di legge ... oppure in suggerimenti e raccomandazioni...volte a favorire l’adozione di comportamenti omogenei”.

Nel condividere tali conclusioni, la Sezione ha aggiunto una ulteriore considerazione. Predicare di un atto amministrativo la vincolatività delle sue disposizioni, significa attribuirgli efficacia normativa, vale a dire la capacità di innovare nell’ordinamento giuridico introducendo norme giuridiche, cioè generali e astratte, sia pure di livello secondario. Ciò da un lato implica che, come già osservato, il conferimento di tale potere avvenga solo attraverso una norma primaria, dall’altro qualifica indefettibilmente il contenuto del precetto esclusivamente come l’incisione diretta su posizioni giuridiche soggettive siano interessi legittimi, siano diritti soggettivi o potestà di soggetti pubblici. In effetti, tale capacità di incisione costituisce il discrimine tra una norma giuridica e un mero atto di indirizzo, interpretazione, suggerimento o raccomandazione. La disamina caso per caso sopra richiamata, quindi, deve anche analizzare le conseguenze giuridiche della disposizione in ordine alla limitazione delle posizioni giuridiche soggettive. Solo quando sia chiaro, dal dettato della norma primaria, che il legislatore ha inteso comprimere direttamente una posizione giuridica soggettiva, allora l’atto amministrativo può dirsi qualificato da vincolatività/normatività.

In termini non contrastanti, Consiglio di Stato, Sez. V, n. 6026/2018 ha ritenuto che le linee guida dell’ANAC n. 2 del 21 settembre 2016 (in tema di ‘Offerta economicamente più vantaggiosa’) siano “non vincolanti” (traggono la propria fonte di legittimazione nella generale previsione di cui al comma 2 dell’articolo 213 del nuovo ‘Codice dei contratti’) e non risultino idonee a rappresentare parametro di legittimità delle determinazioni adottate dalle singole stazioni appaltanti nella fissazione delle regole di gara. Il testo in questione, quindi, lungi dal fissare regole di carattere prescrittivo, si atteggia soltanto quale strumento di “regolazione flessibile”, in quanto tale volto all’incremento “dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti”.

5.3 La non numerosa giurisprudenza costituzionale ha interessato prevalentemente le linee guida con riferimento al riparto delle competenze tra Stato e Regioni. Si possono cogliere spunti solo indirettamente rilevanti per il caso odierno.

Nella sentenza n. 275/2011, la Corte costituzionale ha riconosciuto la natura regolamentare alle “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” (decreto 10 settembre 2010 del Ministro dello sviluppo economico) in un conflitto di attribuzione promosso dalla Provincia autonoma di Trento. Nell’occasione ha sottolineato che non è sufficiente il nomen iuris e la difformità procedimentale rispetto ai modelli di regolamento disciplinati in via generale dall’ordinamento a determinare di per sé l’esclusione dell’atto dalla tipologia regolamentare giacché in tal caso sarebbe agevole eludere la suddivisione costituzionale delle competenze, introducendo nel tessuto ordinamentale norme secondarie.

Nella sentenza n. 11/2014, la Corte ha ritenuto necessario fare una premessa che precisi l’incidenza che, nel processo valutativo demandato ad essa, assumono atti di normazione secondaria che, come le “Linee guida”, costituiscono, in un ambito esclusivamente tecnico, il completamento del principio contenuto nella disposizione legislativa. “Se è ovvio che essi, qualora autonomamente presi, non possono assurgere al rango di normativa interposta, altra è la conclusione cui deve giungersi ove essi vengano strettamente ad integrare, in settori squisitamente tecnici, la normativa primaria che ad essi rinvia. In detti campi applicativi essi vengono ad essere un corpo unico con la disposizione legislativa che li prevede e che ad essi affida il compito di individuare le specifiche caratteristiche della fattispecie tecnica che, proprio perché frutto di conoscenze periferiche o addirittura estranee a quelle di carattere giuridico le quali necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale, mal si conciliano con il diretto contenuto di un atto legislativo. Non a caso per la loro definizione è prevista una procedura partecipativa estremamente ampia ed articolata. Poiché essi, come si è detto, fanno corpo con la disposizione legislativa che ad essi rinvia, il loro mancato rispetto comporta la violazione della norma interposta e determina, nel caso si verta nelle materie di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost. e qualora la norma interposta esprima principi fondamentali, l’illegittimità costituzionale della norma censurata” (6.1 del Considerato in diritto).

Con la sentenza n. 284/2016, su un ricorso in via principale di alcune Regioni avverso disposizioni di legge statale che prevedevano linee guida in materia di istruzione, la Corte ha sottolineato che “la giurisprudenza di questa Corte ha già identificato nelle linee guida atti esecutivi, secondo alcuni di alta amministrazione, che, in particolari circostanze, «vengono strettamente ad integrare la normativa primaria che ad essi rinvia», affidando loro quelle specificazioni dei suoi principi, di cui esige un’applicazione uniforme (sentenza n. 11 del 2014). Sovente esse implicano conoscenze specialistiche proprie del settore ordinamentale in cui si innestano, e per tale caratteristica mal si conciliano con il diretto contenuto dell’atto legislativo”.

Infine, nella sentenza n. 86/2019, la Corte ha sottolineato che le linee guida – vincolanti in quanto adottate in sede di Conferenza unificata e quindi espressione della leale collaborazione fra Stato e Regioni – costituiscono, in settori squisitamente tecnici, il completamento della normativa primaria, e indicano le specifiche tecniche che necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale. Anche in questo caso si trattava di un ricorso in via principale, concernente disposizioni legislative incidenti su competenze regionali in materia di energia.

5.4 Venendo al documento in esame, l’art. 54-bis, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001 è formulato in modo diverso dall’art. 213 del codice contratti pubblici; nell’art. 213 si fa espresso riferimento alla “regolazione” mentre, al contrario, nel comma 5 dell’art. 54-bis si fa espresso riferimento alla “promozione”.

Nel codice dei contratti pubblici, almeno in alcuni casi, l’obbligo di conformazione alle linee guida è esplicitato e coniugato con disposizioni transitorie. Si veda ad esempio l’articolo 78 (Albo dei componenti delle commissioni giudicatrici), comma 1, in base a cui, ai fini dell'iscrizione nel suddetto albo, i soggetti interessati devono essere in possesso di requisiti di compatibilità e moralità, nonché di comprovata competenza e professionalità nello specifico settore a cui si riferisce il contratto, secondo i criteri e le modalità che l'Autorità definisce con apposite linee guida. Fino all'adozione della disciplina in materia di iscrizione all'Albo, si applica l'articolo 216, comma 12.

Per una formulazione analoga può richiamarsi anche l’articolo 177, comma 3, del codice, sugli affidamenti dei concessionari.

L’assenza di disposizioni transitorie nella legge n. 179 si presta a due possibili letture, tra loro contrapposte: nelle more, le amministrazioni possono comunque procedere a organizzarsi per adeguarsi alle regole legislative del whistleblowing; oppure, la regolazione ANAC è condizione necessaria a tal fine. Tuttavia, merita ricordare che la Sez. VI, n. 28/2020, ha considerato l’art. 54-bis con riferimento ai rapporti tra disposizioni sul whistleblowing e disciplina generale del diritto di accesso e, nel dare un’interpretazione in termini restrittivi delle prime, non ne ha condizionato implicitamente l’efficacia all’adozione delle linee guida ANAC. 

Nella stessa premessa delle Linee guida – oltre che nella nota di trasmissione con cui è richiesto il parere – viene evidenziato che le Linee guida hanno l'obiettivo di fornire “indicazioni”.

Inoltre, il testo è formulato in termini discorsivi e non precettivi. Tuttavia, la premessa fa riferimento alla “abrogazione” delle linee guida del 2015, evocando così la successione nel tempo degli atti normativi.

Nel complesso sono prevalenti indicatori, anche alla luce delle elaborazioni sopra richiamate della giurisprudenza, anche del Consiglio di Stato, per concludere in favore del carattere non vincolante delle Linee guida. Le amministrazioni avranno dunque l’onere di esplicitare le motivazioni dell’adozione di eventuali scelte diverse da quelle indicate nelle linee guida. In ogni caso, ciò non si può tradurre in omissione nell’adeguamento da parte delle amministrazioni.

6. Rilievi e osservazioni.

La Sezione, per le ragioni sopra esposte, ritiene che le linee guida non abbiano carattere vincolante e quindi che vadano espunte dal testo le formulazioni che presuppongono un obbligo di puntuale conformazione in capo alle amministrazioni. Come già ricordato, le amministrazioni avranno comunque l’onere di esplicitare le motivazioni dell’adozione di scelte diverse da quelle indicate nelle linee guida. Poiché, in ogni caso, ciò non si può tradurre in omissione nell’adeguamento tempestivo da parte delle amministrazioni, valuti l’ANAC l’opportunità di indicare termini temporali generali (o anche distinti per tipologie o dimensioni delle amministrazioni interessate) entro cui le amministrazioni dovranno garantire l’adeguamento organizzativo e funzionale.

Di seguito viene considerato lo schema di linee guida, con specifico ed esclusivo riguardo ai profili in ordine ai quali la Sezione ritiene di esprimere rilievi od osservazioni.

6.1 Premessa 

6.1.1 Occorre preliminarmente sottolineare che appare corretta l’impostazione, esplicitata nella premessa, secondo cui le Linee guida tengono conto anche dell'articolo 3 della legge. Quest’ultimo, infatti, riguardante la disciplina dell'obbligo del segreto d'ufficio, aziendale, professionale, scientifico e industriale, mette in correlazione le segnalazioni o denunce effettuate nelle forme e nei limiti di cui all'articolo 54-bis, con il perseguimento dell'interesse all'integrità delle amministrazioni, pubbliche e private, nonché alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni, quale giusta causa di rivelazione di notizie coperte dall'obbligo di segreto. Ne risulterebbe altrimenti un’autolimitazione delle linee guida non corrispondente con le finalità della legge stessa. 

6.1.2 Valuti l’ANAC l’opportunità di chiarire come si raccorda la terza parte dello schema (procedure ANAC per l’esercizio del potere sanzionatorio) con il regolamento di cui alla delibera n. 1033/2018 (Regolamento sull'esercizio del potere sanzionatorio in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro di cui all'art. 54-bis del decreto legislativo n. 165/2001 c.d. whistleblowing), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 269 del 19 novembre 2018.

6.1.3 Inoltre, in considerazione del carattere non precettivo né “normativo” delle Linee Guida, è preferibile sostituire, al termine della premessa, il riferimento alla “abrogazione” delle Linee guida del 2015 con quello alla “cessazione degli effetti”. 

6.2 Prima parte – Ambito di applicazione

6.2.1 Al par. 1, lo schema sottolinea la necessità di considerare l'ambito soggettivo di applicazione declinato nell'art. 2-bis del decreto trasparenza (d.lgs. 33/2013), come introdotto dal d.lgs. 97/2016, cui l'art. 1, co. 2-bis (pure introdotto dal d.lgs. 97/2016) della legge n. 190/2012 rinvia, nonché le indicazioni dell'Autorità fornite nella Delibera n. 1310 del 28 dicembre 2016 e nella Delibera n. 1134 dell'8 novembre 2017.

La Sezione rileva che, sebbene non possa escludersi che da tali disposizioni e delibere possano trarsi utili riferimenti interpretativi anche per la corretta individuazione dei soggetti cui si applica l'istituto del whistleblowing, occorre tuttavia tenere conto della diversa formulazione adottata dalla distinta base legislativa di riferimento che, per le linee guida in esame, è costituita dall’art. 54-bis del d.lgs. n. 165/2001. Quest’ultimo, a sua volta, con disposizione di carattere speciale (“ai fini del presente articolo”), precisa al comma 2 che per dipendente pubblico si intende: a) il dipendente delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2 (tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni -ARAN e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300; fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni continuano ad applicarsi anche al CONI); b) ivi compreso il dipendente di cui all'articolo 3 (personale in regime di diritto pubblico); c) il dipendente di un ente pubblico economico ovvero d) il dipendente di un ente di diritto privato sottoposto a controllo pubblico ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile.

L’ultimo periodo dell’art. 54-bis, comma 2, aggiunge poi che la disciplina di cui al presente articolo si applica anche ai lavoratori e ai collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell'amministrazione pubblica.

I riferimenti interpretativi non possono quindi oltrepassare la delimitazione dell’ambito applicativo prescelta univocamente dal legislatore.

Di conseguenza, anche al paragrafo 1.1. (Gli enti tenuti a garantire la tutela dei dipendenti autori di segnalazioni) andrebbe ricordato, in aderenza alle disposizioni di rango primario, quali siano i soggetti, oltre alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001, destinatari della disciplina in esame.

6.2.2 Nel medesimo paragrafo, nella sezione dedicata alle pubbliche amministrazioni, per quanto riguarda le amministrazioni pubbliche, occorre rilevare che nella disposizione di legge, come già rilevato, è presente un rinvio distinto e specifico all’elenco delle amministrazioni pubbliche destinatarie della nuova disciplina, che non coincide con l’elenco delle amministrazioni pubbliche tenute all'applicazione della normativa sulla prevenzione della corruzione e sulla trasparenza ai sensi dell'art. 1, co. 2-bis, della legge n. 190/2012. Non risulta pertanto possibile l’estensione dell’ambito applicativo delle linee guida anche alle Autorità di sistema portuale e agli ordini professionali, laddove non siano riconducibili alle specifiche categorie di legge.

Ebbene, con riguardo alle Autorità di sistema portuale, la natura giuridica di enti pubblici non economici è stata riconosciuta dall’art. 1, comma 993, della legge n. 296/2006 (in tal senso si veda anche Cons. St., Sez. V, n. 7411/2019).

Gli ordini professionali, distintamente individuati dall’art. 2-bis, comma 2, lettera a), del d.lgs. 33/2013 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni), possono essere ricompresi nell’ambito applicativo delle linee guida in esame solo in presenza di una qualificazione legislativa che ne consenta la riconducibilità all’elenco di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001. E’ il caso, ad esempio, nell’ambito delle professioni sanitarie, dell’art. 1, comma 1, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233, ratificato dalla legge 17 aprile 1956, n. 561, come sostituito dalla legge n. 3/2018 (Riordino della disciplina degli Ordini delle professioni sanitarie), in base a cui gli Ordini e le relative Federazioni nazionali sono enti pubblici non economici.

Per gli ordini professionali che, in ipotesi, non dovessero essere assistiti da analoga qualifica legislativa rimane ferma la possibilità che le linee guida siano trasmesse alla stregua di best practices di cui gli ordini stessi possano tenere conto nella propria autonomia organizzativa.

6.2.3 In termini analoghi, con riguardo alle Autorità amministrative indipendenti, risulta problematica la riferibilità delle linee guida in esame anche a quelle non espressamente richiamate dall’art. 3 del d.lgs. n. 165/2001 (che contiene un riferimento espresso a CONSOB e Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato).

6.2.4 E’ da condividere, in quanto conforme a legge, l’estensione delle società a controllo pubblico (comprese le società in house) in base all’art. 2359 c.c., cui viene riferita la nozione di controllo pubblico ex d.lgs. 175/2016. Si annota peraltro che – per le non coincidenti formulazioni adottate dal legislatore - nelle amministrazioni pubbliche controllanti ex d.lgs. 175 sono compresi anche gli enti pubblici economici, non indicati invece dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001.

6.2.5 Merita rammentare che, in base all’art. 2-bis, comma 2, del d.lgs. 33/2013, la medesima disciplina prevista per le pubbliche amministrazioni ex art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001, le Autorità portuali e le Autorità amministrative indipendenti si applica anche, in quanto compatibile: a) agli enti pubblici economici e agli ordini professionali; b) alle società in controllo pubblico come definite dall'articolo 2, comma 1, lettera m), del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175. Sono escluse le società quotate come definite dall'articolo 2, comma 1, lettera p), dello stesso decreto legislativo, nonché le società da esse partecipate, salvo che queste ultime siano, non per il tramite di società quotate, controllate o partecipate da amministrazioni pubbliche; c) alle associazioni, alle fondazioni e agli enti di diritto privato comunque denominati, anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a cinquecentomila euro, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario per almeno due esercizi finanziari consecutivi nell'ultimo triennio da pubbliche amministrazioni e in cui la totalità dei titolari o dei componenti dell'organo d'amministrazione o di indirizzo sia designata da pubbliche amministrazioni.

Da tale disciplina lo schema di linee guida fa derivare, da un lato, l’esclusione delle società quotate dal proprio ambito applicativo e, dall’altro, l’estensione agli altri enti di diritto privato in controllo pubblico quali associazioni, fondazioni e enti di diritto privato comunque denominati, anche privi di personalità giuridica, sopra citati. 

Anche in questo caso, la Sezione, pur condividendo l’obiettivo di favorire la coerenza con la normativa generale sulla prevenzione della corruzione e sulla trasparenza, ritiene che l’opzione prescelta non risulti fondata su solide basi legislative di rango primario. 

6.2.6 E’ da notare che tra le amministrazioni interessate dall’applicazione delle linee guida, in base all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, sono compresi Regioni, Province, Comuni e loro consorzi e associazioni, tutti gli enti pubblici non economici regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale.

Il coinvolgimento di tali amministrazioni suggerisce, in ossequio al principio di leale collaborazione, di sottoporre lo schema all’esame della Conferenza Unificata di cui al decreto legislativo n. 281/1997.

6.2.7 Con riguardo ai soggetti tutelati (par. 1.2), lo schema sottolinea la necessità di un regime a parte per gli appartenenti alle magistrature, ritenendo che per la magistratura ordinaria, amministrativa, contabile e tributaria la legge – che non opera alcuna distinzione al riguardo - vada interpretata alla luce dell'art. 101 e ss. della Costituzione. Dunque, dovrebbe essere l'Organo di autogoverno di ciascuna magistratura a gestire le segnalazioni che riguardano i magistrati. Occorre tuttavia considerare non solo che la legge non prevede procedure distinte ma anche che diversa è la collocazione degli organi di autogoverno di ciascuna magistratura nella cornice costituzionale.

Valuti l’ANAC se – in assenza di procedure definite – la soluzione prospettata possa risolversi, nell’immediato, in un parziale vuoto di tutela. Si suggerisce pertanto all'ANAC di verificare con i rispettivi organi di autogoverno, ai fini dell'applicabilità ai magistrati, le modalità per assicurare la compatibilità con le garanzie di autonomia costituzionalmente sancita.?

6.2.8 E’ poi da dubitare che l’estensione a stagisti e tirocinanti dell’ambito di applicazione delle linee guida sia compatibile con la figura del dipendente pubblico delineata dall’art. 54-bis, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, cui lo stesso legislatore aggiunge una sola figura, all’ultimo periodo, ovverosia quella dei lavoratori e dei collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell'amministrazione pubblica.

6.2.9 Quanto all’ambito oggettivo (par. 2), segnala l’ANAC che, con la novella dell'art. 54-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 da parte della legge n. 179/2017, si pone un problema di coordinamento con gli artt. 8 e 13, comma 8, del d.P.R. 62 del 2013 (Regolamento sul codice di condotta dei dipendenti pubblici), nella parte in cui tali norme prevedono che le segnalazioni di illeciti nell'amministrazione, fermo restando l'obbligo di denuncia all'Autorità giudiziaria, debbano essere effettuate dal dipendente al proprio superiore gerarchico, competente anche per la tutela del segnalante. Nell’auspicare un coordinamento espresso, la Sezione sottolinea che la novella legislativa successiva ha carattere prevalente su quella di rango regolamentare previgente.

6.2.10 Circa la individuazione delle condotte illecite, oggetto di una specifica richiesta da parte dell’ANAC, si conviene sul rilievo che i fatti illeciti oggetto delle segnalazioni whistleblowing comprendano non solo le fattispecie riconducibili all'elemento oggettivo dell'intera gamma dei delitti contro la pubblica amministrazione ma tutte le situazioni in cui, nel corso dell'attività amministrativa, si riscontrino comportamenti impropri di un funzionario pubblico che, anche al fine di curare un interesse proprio o di terzi, assuma o concorra all'adozione di una decisione che devia dalla cura imparziale dell'interesse pubblico. Ciò a condizione che si possa configurare un illecito.

Più problematica risulta, invece, l’estensione dell’ambito applicativo ai “casi in cui si configurano condotte, situazioni, condizioni organizzative e individuali che potrebbero essere prodromiche, ovvero costituire un ambiente favorevole alla commissione di fatti corruttivi in senso proprio”.

La questione, peraltro non agevolmente definibile una volta per tutte in astratto, si pone al centro di contrapposte esigenze. Da un lato, quella di un’efficace lotta ai fatti corruttivi nella p.a. e, dall’altro, quella dell’efficacia e del buon andamento dell’azione amministrativa, entrambe aventi rilievo costituzionale.

La prima esigenza trova espressione anche nell’estensione alle condotte prodromiche ovvero costituenti un ambiente favorevole alla commissione di fatti corruttivi in senso proprio, contenuta nello schema di linee guida.

La seconda esigenza si può realizzare attraverso una puntuale perimetrazione dell’ambito applicativo in modo da evitare che la nuova disciplina possa essere strumentalmente utilizzata per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori. Di questo aspetto si è occupato lo stesso Consiglio di Stato (Sez. VI, n.28/2020) quando ha annotato che la disciplina di cui all’art. 54-bis del d.lgs. n. 165/2001 si pone «in rapporto di eccezione rispetto al principio generale di accessibilità nei casi in cui sussista un interesse giuridicamente rilevante. Tale eccezionalità è suffragata anche dalla lettura della disposizione stessa, che collega la sua applicabilità a una serie di presupposti molto stringenti (in particolare, l'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione e i soggetti tassativamente indicati come destinatari della segnalazione). Ne deriva che l’istituto, secondo le regole delle norme eccezionali, non possa essere applicato “oltre i casi e i tempi in esse considerati”, secondo la regola di cui all’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale».

Rispetto alla prima esigenza, almeno in alcune fattispecie di rilievo penale sarà sufficiente la configurazione del tentativo, ove ne sia prevista la punibilità, a supplire in certa misura ai c.d. “atti prodromici”. Negli altri casi le ipotesi di sprechi, nepotismo, ripetuto mancato rispetto dei tempi procedimentali, assunzioni non trasparenti, irregolarità contabili, false dichiarazioni, violazione delle norme ambientali e di sicurezza sul lavoro, figure sintomatiche di eccesso di potere, evocate dall’ANAC, già ricadono in ampia misura nel concetto di “illeciti” fissato dal legislatore. 

Ad avviso della Sezione, il riferimento alle mere “attività prodromiche” e a quelle che costituiscono un “ambiente favorevole” risulta pertanto non facilmente riconducibile al più netto dettato legislativo.

E’ invece da condividere la considerazione, contenuta nello schema delle linee guida, in ordine al fatto che non è necessario che il dipendente sia certo dell'effettivo accadimento dei fatti denunciati e/o dell'identità dell'autore degli stessi, dal momento che, per ancorare a dati obiettivi, è piuttosto necessario che ne sia data, come indicato nello schema, ragionevole e circostanziata evidenza nella segnalazione stessa.

6.2.11 Con riguardo all’elencazione delle misure ritorsive, valuti l’ANAC l’opportunità di specificare che il mancato conferimento di incarichi con contestuale attribuzione ad altro soggetto debba essere “ingiustificato” e che il rigetto di richieste (ad es. ferie, congedi) debba essere “reiterato”. L’assenza di giustificazione o la reiterazione del rigetto attestano infatti la non casualità della condotta dell’amministrazione rispetto all’ipotesi ritorsiva.

6.2.12 Con riguardo alla presenza dell'intento ritorsivo (p. 19 dello schema), l'Autorità ritiene che esso sussista ogni qual volta “possa dirsi” che la ragione determinante che ha condotto all'adozione della misura nei confronti del segnalante sia la volontà di "punirlo" per avere segnalato. Si valuti se occorra prevedere espressamente anche la sussistenza di elementi plausibili a supporto.

6.3 Parte seconda — la gestione delle segnalazioni nelle amministrazioni e negli enti

6.3.1 Lo schema prevede che, per il processo di gestione delle segnalazioni attraverso il supporto di una procedura informatica, possano essere individuati alcuni ruoli da assegnare agli utenti del sistema, tra cui il custode delle identità. Si tratta del soggetto individuato dall'amministrazione che, dietro esplicita e motivata richiesta, consente al RPCT di accedere all'identità del segnalante. L'identità del segnalante non è nota al custode. Tale ruolo può anche coincidere con quello di RPCT. Non è coinvolto nel trattamento dei dati personali presenti nella segnalazione.

Si tratta della seconda questione su cui l’ANAC ha richiamato l’attenzione nella richiesta al Consiglio di Stato.

Il carattere non vincolante delle linee guida e, in aggiunta, la espressa “possibilità” della individuazione della figura rimette alle singole amministrazioni una scelta organizzativa che può dipendere da molteplici fattori, quali ad esempio la presenza di figure professionali adeguate e le dimensioni dell’amministrazione.

Al riguardo non emergono elementi di contrasto con le disposizioni di rango primario. Dovrà piuttosto essere considerata con attenzione la sussistenza delle condizioni tecnico-operative per rendere possibile l’effettiva costituzione della figura. A tal fine potrebbe essere utile integrare le linee guida con l’indicazione, anche solo esemplificativa, delle modalità operative – ulteriori rispetto a quelle indicate al par. 2.2 - attraverso cui potrebbero svolgersi le funzioni del custode ed essere garantito l’anonimato del segnalante rispetto al custode stesso, tanto nel caso in cui sia figura distinta quanto nel caso in cui sia figura coincidente con il RPCT.

6.4 Parte terza - procedure di ANAC: gestione delle segnalazioni di condotte illecite e delle comunicazioni di misure ritorsive.

6.4.1 Al par. 3, sulla gestione delle comunicazioni di misure ritorsive o discriminatorie, ricordano le Linee guida che compito di ANAC è quello di accertare che la misura ritorsiva o discriminatoria sia conseguente alla segnalazione di illeciti e, in caso- positivo, applicare la sanzione. L'iter procedimentale di gestione e analisi della comunicazione si svolge secondo le prescrizioni contenute nel Regolamento sanzionatorio, cui, pertanto, viene fatto rinvio.

L'Autorità ritiene di potere considerare anche le "comunicazioni di misure ritorsive" che pervengono da soggetti diversi rispetto a quelli indicati nella disposizione richiamata. Ciò in quanto il potere di vigilanza di ANAC, previsto dall'art.1, comma 2, lett. f), della legge n. 190/2012, può attivarsi a prescindere dal soggetto che invia l'informazione rilevante ai sensi dell'art. 1, comma 3, della medesima legge.

Pertanto l’irrogazione delle misure sanzionatorie potrebbe conseguire anche nel caso di comunicazioni effettuate da soggetti diversi dal segnalante o dalle organizzazioni sindacali, secondo quanto previsto dall’art. 54-bis, comma 1, del d.lgs. 165/2001. Tenuto conto della diversa formulazione del comma 6 del medesimo articolo (che fa generico riferimento all’istruttoria dell’ANAC) e dei poteri complessivamente riconosciuti in capo all’ANAC dalle citate disposizioni della legge n. 190/2012, la soluzione non risulta in contrasto, ad avviso della Sezione, con le disposizioni di rango primario.

6.4.2 Con riguardo alle informazioni dall’ANAC al Dipartimento per la funzione pubblica o agli altri organismi di garanzia o di disciplina (par. 3), si condivide l’opportunità che esse abbiano luogo a conclusione del procedimento sanzionatorio. Peraltro si segnala che non si può escludere che sussistano residui profili di competenza del Dipartimento o degli altri organismi anche in caso di esito negativo dell’accertamento della misura ritorsiva. Nel silenzio della legge è preferibile dunque che l’informativa abbia luogo indipendentemente dall’esito del procedimento sanzionatorio.

6.4.3 Con riguardo al par. 4 (perdita delle tutele nel corso del procedimento ANAC, art. 54-bis, comma 9), le linee guida stabiliscono che, quando nei confronti del whistleblower viene avviato un procedimento penale per i reati di calunnia, diffamazione o per quelli comunque commessi con la segnalazione, il procedimento penale e il procedimento sanzionatorio innanzi all'Autorità procedano separatamente. Tuttavia, le valutazioni della Procura e/o del Giudice penale sulla colpevolezza del dipendente possono influire sulla valutazione, operata da ANAC, circa il carattere ritorsivo della misura. Mentre è la legge stessa che alla sola condanna in primo grado fa conseguire la decadenza dalle tutele (art. 54-bis, comma 9, del d.lgs. n. 165/2001), risulta preferibile – per dare definitività alle determinazioni dell’ANAC sulle condotte ritorsive – prevedere che sia la sentenza passata in giudicato sulla colpevolezza o meno del dipendente a influire sulla valutazione dell’ANAC circa il carattere ritorsivo della misura.

7. Con riguardo alla modulistica allegata alle linee guida, valuti l’ANAC l’opportunità di:

- prevedere, nel modulo di segnalazione, uno spazio per annotazioni o commenti sintetici in formato libero;

- espungere il punto 1.3.4 riferito alla zona geografica dell’amministrazione di appartenenza del segnalante (Nord, Centro e Isole, Sud);

- al punto 1.4 sulla tipologia di condotta illecita, alla prima voce dell’elenco, sostituire le parole “corruzione e” con le seguenti “corruzione o” e, all’ultima voce dell’elenco, dopo le parole “misure discriminatorie” inserire le seguenti “o ritorsive”;

- fare corrispondere il contenuto del punto 1.7.8 (“A tuo avviso possiamo contattare il soggetto per richiedere ulteriori informazioni, senza pregiudicare la riservatezza della verifica della segnalazione?”) alla sua rubrica (“Ha tratto beneficio economico dall'accaduto?”).

P.Q.M.

Nei termini di cui in motivazione è il parere della Sezione.


 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Claudio Tucciarelli Gerardo Mastrandrea
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

Carola Cafarelli


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