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TAR Puglia, Lecce, sez. III, 13/3/2020 n. 326
Sulla legittimità dell'affidamento diretto di un servizio pubblico di valore inferiore alla soglia di € 40.000 ex art. 36 c. 2 lett. a) del d.lgs n. 50/2016.

La giurisprudenza ha chiarito come fino all'importo massimo di € 40.000 previsto del già c. 2 lett. a) dell'art. 36, del d.lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm. il legislatore ha ritagliato una specifica disciplina che costituisce un micro-sistema esaustivo ed autosufficiente che non necessita di particolari formalità e sulla quale i principi generali non determinano particolari limiti. Pertanto, nel caso dell'art. 36 c. 2 lett. a) si è in presenza di una ipotesi specifica di affidamento diretto diversa ed aggiuntiva dalle ipotesi di procedura negoziata "diretta" prevista dall'art. 63 del Codice dei contratti che impone invece una specifica motivazione e che l'assegnazione avvenga in modo perfettamente adesivo alle ipotesi predefinite dal legislatore (si pensi all'unico affidatario o alle oggettive situazioni di urgenza a pena di danno). Ne consegue che, venendo in rilievo nel caso di specie, una concessione di servizi di valore certamente inferiore alla soglia di € 40.000 ex art. 36 c. 2 lett. a) del d.lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm., l'amministrazione comunale non aveva alcun obbligo di motivazione con riguardo alla ricorrenza di condizioni di urgenza o necessità. Resta, in ogni caso, fermo l'obbligo in capo all'amministrazione comunale di procedere tempestivamente all'indizione di una nuova procedura di gara per l'affidamento in via definitiva del servizio pubblico di ristoro da effettuarsi presso i chioschi siti all'interno dello stadio comunale.

Materia: appalti / disciplina
Pubblicato il 13/03/2020

N. 00326/2020 REG.PROV.COLL.

N. 01214/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1214 del 2019, proposto dalla
Indaco Service Società Cooperativa Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Riccardo Giurano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Taranto, in persona Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Maddalena Cotimbo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Tommaso Maria Fazio in Lecce, P.tta Montale, n. 2;

nei confronti

GAM Servizi e Forniture S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

- della determina n. 910 del 12 agosto 2019 del Dirigente LLPP- Patrimonio del Comune di Taranto, pubblicata sull'Albo pretorio dell'Ente dal 13 agosto 2019, con cui il predetto Comune ha annullato in autotutela il procedimento di gara di cui alla determina n. 38 del 05 dicembre 2018 e relativi allegati, avente ad oggetto "locazione di n. 3 chioschi siti all'interno dello stadio comunale Erasmo Jacovone, ubicato in Via Lago di Como -Quartiere Salinella - Taranto";

- della determina n. 913 del 13 agosto 2019 del Dirigente LLPP- Patrimonio del Comune di Taranto, pubblicata sull'Albo pretorio dell'Ente dal 14 agosto 2019, con cui il predetto Comune ha affidato in via diretta il servizio ristoro da effettuarsi presso i n. 3 chioschi siti all'interno dello Stadio Comunale “E. Jacovone” di Taranto, per il periodo necessario all'espletamento delle fasi di gara da indire, alla GAM Servizi e Forniture s.r.l. verso il pagamento di € 294,00 mensili;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale;

per la conseguente declaratoria di inefficacia del contratto nelle more eventualmente stipulato;

nonché per la condanna del Comune di Taranto al risarcimento del danno in favore della ricorrente, anzitutto mediante reintegrazione in forma specifica ed, in subordine, per equivalente, con ristoro

dei danni patiti e patendi conseguenti all’illegittimità dei provvedimenti gravati, anche

per perdita di chance e spese di partecipazione alla gara.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Taranto;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2020 il dott. Giovanni Gallone e uditi per le parti i difensori avv.to Giurano R. e avv.to Fazio T. in sostituzione dell'avv.to Cotimbo M.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso del 12 settembre 2019 la Indaco Service Società Cooperativa Sociale ha chiesto l’annullamento, previa concessione di idonea misura cautelare, della determina dirigenziale n. 910 del 12 agosto 2019 con cui il Comune di Taranto ha annullato in autotutela la precedente determina n. 38 del 05 dicembre 2018 avente ad oggetto la “locazione di n. 3 chioschi siti all’interno dello stadio comunale Erasmo Jacovone, ubicato in Via Lago di Como – Quartiere Salinella – Taranto”.

La ricorrente ha contestualmente impugnato la determina dirigenziale n. 913 del 13 agosto 2019, avente ad oggetto l’affidamento in via diretta da parte dello stesso Comune di Taranto alla GAM Servizi e Forniture s.r.l. del servizio ristoro da effettuarsi presso i predetti 3 chioschi siti all’interno dello Stadio Comunale “E. Jacovone”, per il periodo necessario all’espletamento della gara da indire per l’affidamento in concessione dei 3 chioschi per l’espletamento del servizio di ristoro.

La ricorrente, sempre nell’atto introduttivo del giudizio, ha poi formulato domanda di declaratoria di inefficacia del contratto stipulato con la GAM Sevizi e Forniture s.r.l. invocando la tutela in forma specifica e, in via subordinata, per l’ipotesi in cui non fosse possibile il subentro nel contratto, quella per equivalente. Ha, in ultimo, proposto, in via gradata, per il caso in cui dovesse essere riconosciuta la legittimità dell’atto di autotutela, domanda di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale della stazione appaltante.

Ha dedotto, a sostegno del ricorso, i seguenti motivi:

1) “Violazione dell’art. 97 Cost. e della L. 241/90. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, arbitrarietà”;

2) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 21 nonies della L.241/90. Eccesso di potere per contraddittorietà, difetto di istruttoria, carenza di motivazione, irragionevolezza, travisamento dei fatti, erroneità dei presupposti, manifesta ingiustizia, arbitrarietà”;

3) “Violazione e falsa applicazione del D. Lgs. 50/2016. Eccesso di potere per irragionevolezza, travisamento dei fatti, erroneità dei presupposti, manifesta ingiustizia”;

4) “Incompetenza. Violazione e falsa applicazione dell’art. 42, 48, 192 TUEL. E dell’art. 34 del D.L. 179/2012. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, manifesta ingiustizia, arbitrarietà”;

5) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 35, 36 e 167 del D. Lgs. 50.2016. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, irragionevolezza, erroneità dei presupposti, manifesta ingiustizia, arbitrarietà”;

6) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 7, del Regolamento della Gestione ed Alienazione del Patrimonio Comunale del Comune di Taranto”.

Con memoria del 17 ottobre 2019, si è costituito in giudizio il Comune di Taranto chiedendo il rigetto del ricorso e la reiezione dell’istanza cautelare.

Non si è costituita in giudizio la controinteressata GAM Servizi e Forniture s.r.l..

Il 28 ottobre 2019 la ricorrente ha depositato un’ulteriore memoria difensiva.

In data 31 ottobre 2019 con ordinanza n. 637 del 2019 è stata respinta dalla Sezione l’istanza cautelare per difetto del presupposto del fumus boni iuris.

In data 7 febbraio 2020 la ricorrente ha depositato memoria ex art. 73 c.p.a. insistendo per l’accoglimento del ricorso.

All’udienza pubblica del 25 febbraio 2020, su istanza di parte, la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso proposto è infondato nel merito e va respinto.

2. Con il primo motivo di gravame la Società Cooperativa Sociale Indaco Service deduce la violazione dell’art. 7 della L. 241 del 1990 per aver omesso il Comune di Taranto di comunicarle l’avvio del procedimento di annullamento in autotutela. Deduce, in particolare, la ricorrente di aver ribadito il proprio interesse alla stipula del contratto anche dopo la presentazione della domanda formulando in data 6 agosto 2018 apposita richiesta di informazioni.

2.1. La censura appare priva di pregio.

Occorre rilevare che l’annullamento officioso disposto dall’Amministrazione Comunale resistente ha avuto ad oggetto un atto endoprocedimentale, quale l’avviso di indizione della procedura di gara, ed ha avuto luogo ben prima che intervenisse la proposta di affidamento del contratto. Sicché la circostanza che si versasse in costanza del procedimento di gara, non ancora definito con l’aggiudicazione, non imponeva, come invece sarebbe accaduto nel caso di adozione del provvedimento finale, la comunicazione di avvio del procedimento di secondo grado ex art. 7 L. n. 241 del 1990 (così ex multis, con riguardo all’aggiudicazione provvisoria Cons. St., sez. V, 13 maggio 2011, n. 2891 e T.A.R. Venezia, sez. I, 25 marzo 2015 n. 349).

3. Si deduce, poi, in seno al secondo motivo, il difetto dei presupposti legittimanti l’annullamento d’ufficio previsti ex art. 21 nonies, comma 1, della L.241/1990 e ss.mm.. In particolare, la Società ricorrente lamenta la mancanza del presupposto dell’illegittimità del provvedimento di primo grado nonché la carenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione.

3.1 Il motivo è infondato.

Quanto alla mancanza del presupposto dell’illegittimità del provvedimento di primo grado (annullato d’ufficio) la ricorrente sostiene che l’intenzione del Comune di Taranto fosse palesemente quella di concedere a terzi i 3 chioschi bar e che tale volontà sia stata esternata nell’avviso pubblico, tanto che lo steso invitava esplicitamente i soggetti interessati a formulare la propria offerta economica per l’aggiudicazione della concessione.

La ricostruzione offerta dalla parte ricorrente non appare, tuttavia, condivisibile. Il contratto oggetto della determina interessata dall’annullamento di ufficio, al di là di qualche incertezza terminologica, era chiaramente una locazione. In questo senso paiono dirimenti due distinte considerazioni.

Anzitutto, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente, le parti hanno a più riprese impiegato il nomen iuris di “locazione”. Più segnatamente, nell'avviso pubblico viene fatto espresso riferimento ad una “procedura di locazione” disciplinata dall'art. 32, comma 1 e 2, del Regolamento della Gestione ed Alienazione del Patrimonio. Inoltre è lo stesso avviso ad essere intitolato "Avviso di Pubblico Incanto per la locazione di n. 3 chioschi"; al suo interno si parla, poi, di "requisiti di partecipazione alla locazione" e, ancora, di "locazione mensile euro:294,00".

A prescindere dalla denominazione formale impiegata, appare assorbente la considerazione che se fosse stata azionata una procedura per l'affidamento in concessione dei suddetti beni, come sostiene la ricorrente, l'Amministrazione Comunale avrebbe dovuto prevedere e richiedere agli operatori economici una serie di adempimenti, tra cui il rispetto delle prescrizioni previste nell'art. 80 del D. Lgs. n. 50/2016 e ss. mm., nella specie, completamente omesse. Ciò rivela la chiara volontà della Pubblica Amministrazione di avvalersi di un modulo ispirato a logiche di tipo privatistico, discostandosi dal modello dell’evidenza pubblica precipuamente indirizzato all’affidamento in concessione.

3.2 Per ciò che attiene, invece, l’asserita mancanza del presupposto dell’interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell’atto annullato la ricorrente deduce la genericità ed irragionevolezza della motivazione posta dall’Amministrazione Comunale a fondamento del provvedimento di secondo grado. La stessa riposerebbe su un ragionamento meramente probabilistico ed errato nelle sue conclusioni. In particolare risulterebbe del tutto irragionevole affermare, come si legge nella parte motiva del provvedimento gravato, che l’impiego del termine “locazione” nell’originario avviso “ha probabilmente alterato il normale funzionamento della procedura, in quanto la previsione in oggetto ha verosimilmente scoraggiato la partecipazione di terzi”. Ciò in quanto, secondo la prospettazione della ricorrente, a differenza di quanto sostenuto nell’atto di ritiro dall’Amministrazione, l’operatore economico sarebbe di regola maggiormente attratto dalla locazione che non dalla concessione in considerazione della maggiore flessibilità e libertà di gestione che discende da un rapporto di natura privatistica.

La ricorrente lamenta, poi, un’ulteriore carenza dell’apparato motivazionale. Il Comune di Taranto avrebbe, infatti, omesso di effettuare la necessaria comparazione tra l’interesse pubblico al ritiro del provvedimento e quello della ricorrente al perfezionamento della procedura ad evidenza pubblica.

3.3 Preme sul punto osservare che per costante insegnamento pretorio la sussistenza dell’interesse pubblico alla rimozione dell’atto amministrativo deve essere scrutinata con maggiore severità, anche sotto il profilo della completezza della motivazione, quanto più è avanzata la fase della procedura di gara in cui si registra l’intervento in autotutela e, di riflesso, consistente l’affidamento nutrito dal beneficiario dell’atto ritirato sulla sua persistente validità ed efficacia. Al contrario l’onere motivazionale dell’Amministrazione si attenua a fronte di vizi patenti dell’azione amministrativa (di recente, ex multis, T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 20 marzo 2019, n 810).

3.4 In proposito deve ribadirsi che, nel caso di specie, l’annullamento officioso ha interessato gli atti di un procedimento di evidenza pubblica che versava in fase ancora iniziale. Questo aveva visto unicamente la pubblicazione dell’avviso pubblico di indizione e la presentazione delle offerte da parte degli interessati, non essendo intervenuta alcuna aggiudicazione né tantomeno stipulato alcun contratto. Va, poi, rilevato che il vizio di legittimità alla base del disposto annullamento d’ufficio si è rivelato particolarmente grave attenendo alla corretta identificazione del tipo di contratto da stipulare e, di conseguenza, dalla disciplina applicabile alla procedura di scelta del contraente.

Ne consegue che l’annullamento officioso è stato disposto quando ancora non era maturato alcun apprezzabile affidamento in capo alla Società Indaco. Ciò si riflette sull’intensità dell’onere motivazionale richiesto all’Amministrazione che deve ritenersi significativamente alleggerito.

3.5. Né tantomeno può dirsi, come fa parte ricorrente, che l’interesse pubblico posto a base dell’annullamento officioso si riduca a quello al mero ripristino della legalità violata. Come reso esplicito nella motivazione del provvedimento impugnato esso coincide con il favor partecipationis e la tutela della concorrenza.

L’adozione del diverso schema della concessione rispetto alla locazione non può, peraltro, ritenersi neutro in termini di ricaduta sulla realizzazione dell’interesse pubblico, distinguendosi le due fattispecie giuridiche non solo sotto il profilo delle modalità di versamento del corrispettivo ma anche in punto di garanzie procedimentali per l’affidamento e di prerogative riconosciute alla parte pubblica in fase contrattuale (certamente più pregnanti nella concessione rispetto che nella locazione).

Sicché deve ritenersi ben sufficiente, oltre che immune da vizi logici o di ragionevolezza, la motivazione offerta in seno al provvedimento comunale gravato. Basti in proposito rilevare come le implicazioni non trascurabili dell’adozione dello schema della locazione in luogo della concessione, ancorché non formalmente esplicitate nel corpo del provvedimento, sono agevolmente ed intuitivamente ricavabili dallo stesso, senza che possa parlarsi, come fa parte ricorrente, di una integrazione postuma in giudizio della motivazione ad opera dell’Amministrazione (fenomeno, quest’ultimo, che si verifica allorquando la parte pubblica deduca in corso di causa una ragione totalmente estranea ed aliena rispetto a quelle fornite in sede di motivazione in senso formale si veda Consiglio di Stato sez. II, 24/06/2019, n.4305).

4. Con il terzo motivo di gravame il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del D. Lgs n. 50 del 2016 e ss.mm.. Nella prospettazione offerta dal ricorrente detta previsione non può essere estesa alla concessione di beni, figura che verrebbe in rilievo nel caso che occupa. Ciò in quanto quest’ultima fattispecie rientra pacificamente nel perimetro di applicazione dei contratti esclusi di cui all’art. 4 del D. Lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm., essendo un contratto attivo in grado di produrre un’entrata per l’ente concedente.

4.1 La censura non coglie nel segno. Non paiono convincenti le argomentazioni di parte ricorrente volte a qualificare la concessione oggetto della procedura in esame come concessione di beni e non di servizi.

Il Collegio ritiene, infatti, che venga qui in rilievo la concessione di un servizio pubblico di ristorazione, con conseguente assoggettamento alla disciplina di cui agli artt. 164 e ss. del D. Lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm..

4.2. In questo senso depone, oltre al dato formale della denominazione impiegata (definita espressamente dalla deliberata gravata “servizio di distribuzione, quantomeno di acqua per i n. 3 chioschi-bar, all’interno dello stadio comunale “Jacovone” di Taranto”), la struttura concreta del rapporto.

La giurisprudenza (da ultimo T.A.R. Sardegna, sez. I, 18 giugno 2019 n. 547) ha fatto a tal fine ricorso ad un “giudizio di prevalenza sostanziale” analogo a quello previsto dall’art. 169 comma 8 del d.lgs. n. 50 del 2016 che guarda all’ “oggetto principale” del contratto.

Ebbene, pur a fronte di un dato disciplinatorio assai scarno, emerge con chiarezza come l’impugnato provvedimento di affidamento diretto sia tutto incentrato sulla esecuzione di una prestazione di facere che ha i connotati di servizio pubblico. Ciò è comprovato dalla circostanza che il provvedimento pone l’accento sull’esigenza di assicurare la fornitura di bevande agli spettatori (e quindi in occasione degli eventi sportivi) anche nell’ottica di prevenire malori che richiederebbero l’intervento d’urgenza di personale sanitario. L’erogazione del servizio appare, quindi, connessa alla soddisfazione di un interesse pubblico ed assume i connotati della indismissibilità. Ne è riprova il fatto che la Pubblica Amministrazione abbia imposto al concessionario di assicurare “quantomeno” la fornitura di acqua (che diviene il nucleo doveroso ed inderogabile della prestazione richiesta a titolo di servizio pubblico).

5. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta, in via subordinata, per l’ipotesi in cui si ritenga che il contratto affidato presenti i caratteri della concessione di servizi, due ulteriori violazioni di legge. In particolare la determinazione dirigenziale n. 913 del 2019 di affidamento diretto della concessione sarebbe stata adottata dal Dirigente LLPP-Patrimonio del Comune in assenza di uno specifico atto di indirizzo del Consiglio Comunale, cui spetta la competenza esclusiva in merito all’organizzazione e concessione di un pubblico servizio ai sensi degli artt. 42 e 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000 e ss.mm. e, comunque, non sarebbe stata preceduta dalla necessaria relazione prevista all’art. 34 comma XX del D.L. n. 179 del 2012.

5.1. Anche detta censura è destituita di fondamento.

L’art. 42 comma 1 lett. e) del D. Lgs. n. 267 del 2000 stabilisce che spetta al Consiglio la “organizzazione” e “concessione” dei pubblici servizi. Orbene, se è non è in dubbio che la previsione disegni in via generale una competenza del Consiglio Comunale in tema di concessione dei pubblici servizi e di affidamento di attività o servizi mediante convenzione, è pur vero che a conclusioni affatto diverse si deve giungere nelle ipotesi, come quella che occupa, in cui l’affidamento diretto si presenti con carattere del tutto interinale e parentetico nelle more dell’indizione di una nuova procedura. In tal caso, infatti, come già statuito da questo Tribunale (T.A.R. Lecce, sez. II, 13 gennaio 2006, n. 216), l’atto, esulando dalle ipotesi ordinarie, va annoverato fra gli atti di carattere gestionale, demandati alla dirigenza locale giusta la previsione di cui all’art. 107 del D. Lgs. n. 267 del 2000.

5.2. Analoghe considerazioni in ordine al carattere interinale dell’affidamento spingono ad escludere la violazione dell’art. 34 comma XX del D.L. n. 179 del 2012.

La norma in questione impone, infatti, agli organi di governo dell’ente affidante l’obbligo generale di predisporre una relazione che espliciti le ragioni della scelta del modello di gestione del servizio prescelto.

È, tuttavia, evidente che un simile adempimento non sia necessario nell’ipotesi in cui il Comune abbia operato una scelta solo contingente che presenti un orizzonte temporale strettamente limitato alla pronta indizione della procedura di affidamento. In tale evenienza, infatti, non si riscontra nessun vulnus all’ interesse alla “parità tra gli operatori” e alla “economicità della gestione”, la cui tutela rappresenta la ratio del disposto dell’art. 34 comma XX del D.L. n. 179 del 2012

Non ricorre, quindi, alcuna violazione di legge.

6. Con il quinto motivo sono state veicolate due ulteriori censure di legittimità avverso la determina di affidamento diretto della concessione.

Più nel dettaglio l’impugnata determina dirigenziale n. 913 del 2019 sarebbe illegittima in quanto il calcolo del valore della concessione sarebbe stato effettuato in violazione dell’art. 167 del D. Lgs. n.50 del 2016 e ss.mm. atteso che il valore della concessione non può essere parametrato, come invece avrebbe fatto il Comune, unicamente all’importo del canone concessorio non considerando il valore complessivo della concessione. Inoltre, secondo la ricorrente, non sussisterebbero le ragioni d’urgenza esternate dall’Amministrazione Comunale a giustificazione dell’affidamento diretto.

6.1 Nessuna delle due censure merita accoglimento.

Ai sensi dell’art. 167 comma 1 del D. Lgs. n. 50 del 2016 “il valore di una concessione, ai fini dell’art. 35, è costituito dal fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell’IVA”. Se, dunque, è certamente condivisibile l’assunto difensivo secondo cui la richiamata disposizione non fa riferimento, quale unico parametro di determinazione del valore del contratto, al canone concessorio, l’applicazione della stessa deve, tuttavia, tenere in considerazione le peculiari modalità con cui ha avuto luogo, nel caso in esame, l’aggiudicazione. Essa, infatti, è stata disposta in via diretta e del tutto interinale sicché, come riconosciuto dalla stessa ricorrente in senso alla memoria ex art. 73 c.p.a., non essendo predeterminata la durata del rapporto anche in ragione dell’obbligo dell’Amministrazione Comunale di indire una formale procedura di gara, risultava impossibile stimare puntualmente il valore del contratto al momento dell’indizione.

Una simile stima, del resto, andava effettuata dall’Amministrazione, secondo il dettato del comma 2 dello stesso art. 167, proprio al momento dell’avvio della procedura, quando tuttavia, per le ragioni già esposte, non poteva essere noto il fattore previsto al primo comma, della “durata del contratto”.

Va aggiunto, peraltro, che l’importo assai contenuto del canone concessorio lascia ritenere, pur a fronte della già evidenziata incertezza temporale del rapporto, che il valore complessivo si collocasse (e si collochi) -sicuramente- al di sotto della soglia legale di € 40.000 ex art. 36 comma 2 lett. a) del D. Lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm..

6.2 Non sussiste, del pari, la lamentata violazione dell’art. 36 del D. Lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm. per asserito difetto delle condizioni di urgenza che consentirebbero l’affidamento diretto.

La giurisprudenza ha, infatti, chiarito come fino all’importo massimo di € 40.000 previsto del già richiamato comma 2 lett. a) dell’art. 36, il legislatore ha ritagliato una specifica disciplina che costituisce un micro-sistema esaustivo ed autosufficiente che non necessita di particolari formalità e sulla quale i principi generali non determinano particolari limiti (si veda, in proposito, il parere reso dal Consiglio di Stato, 13 settembre 2016, n. 1903 sulle linee guida A.N.A.C. in materia di procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria). Sicché nel caso dell’art. 36 comma 2 lett. a) si è “in presenza di una ipotesi specifica di affidamento diretto diversa ed aggiuntiva dalle ipotesi di procedura negoziata “diretta” prevista dall’art. 63 del Codice che impone invece una specifica motivazione e che l’assegnazione avvenga in modo perfettamente adesivo alle ipotesi predefinite dal legislatore (si pensi all’unico affidatario o alle oggettive situazioni di urgenza a pena di danno)” (così T.A.R. Molise, sez. I, 14 settembre 2018, n. 533).

Ne consegue che, venendo in rilievo nel caso in esame una concessione di servizi di valore certamente inferiore alla soglia di € 40.000 ex art. 36 comma 2 lett. a) del D. Lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm., l’Amministrazione Comunale resistente non aveva alcun obbligo di motivazione con riguardo alla ricorrenza di condizioni di urgenza o necessità.

Resta, in ogni caso, fermo l’obbligo in capo all’Amministrazione Comunale resistente di procedere tempestivamente all’indizione di una nuova procedura di gara per l’affidamento in via definitiva del servizio pubblico in parola.

7. Con l’ultimo motivo di ricorso si invoca l’illegittimità della determina dirigenziale n. 913 del 2019 per violazione dell’ art. 32 del Regolamento della gestione ed alienazione del patrimonio del Comune di Taranto secondo cui: “…per tutti i beni appartenenti al patrimonio del Comune di Taranto di cui ai titoli precedenti, sia indisponibili che disponibili …si procede alla scelta del contraente generalmente mediante procedura ad evidenza pubblica, della quale è data pubblicità attraverso i canali ritenuti più idonei… in deroga a quanto stabilito nei commi precedenti, l’applicazione della procedura di evidenza pubblica è esclusa è si può procedere con la trattativa privata solo nei seguenti casi: a) è andata deserta la procedura evidenza pubblica; b) in casi eccezionali con riferimento a cooperative, fondazioni, istituzioni ed associazioni di carattere socio-assistenziale e Sanitario…”.

In particolare, secondo la ricorrente, non ricorrerebbe, ai fini dell’affidamento diretto, l’ipotesi di cui alla lett. B) atteso che la GAM Servizi e Forniture s.r.l. è società commerciale e, pertanto, non rientra in alcuna delle categorie ivi previste.

7.1. La doglianza è destituita di fondamento.

La norma regolamentare in parola, introducendo dei requisiti soggettivi inediti, restringe i casi di affidamento diretto rispetto a quanto previsto dalla legge ordinaria (art. 36 del D. Lgs. n. 50 del 2016 e ss.m.). Si appalesa, pertanto, un contrasto tra le previsioni che impone di disapplicare quella regolamentare in forza del disposto dell’art. 4 comma 1 delle Disposizioni preliminari al codice civile. È di conforto, sul punto, la giurisprudenza amministrativa giunta, in relazione ad una fattispecie analoga, a disapplicare la norma regolamentare (il D.P.R. n. 207 del 2010) perché prevedeva una soglia di valore per l’affidamento diretto inferiore a quella prevista dal codice degli appalti (così TA.R. Puglia, sez. I, Bari, 22 aprile 2015 n. 629).

8. Il rigetto delle domande di annullamento implica, ex se, la reiezione delle ulteriori domande volte ad ottenere la tutela in forma specifica e per equivalente ex artt. 122 e 124 c.p.a..

9. Rimane da scrutinare la domanda di risarcimento del danno per violazione della buona fede nelle trattative avanzata in via subordinata dalla parte ricorrente. Secondo quest’ultimo l’annullamento in autotutela dell’intero procedimento di gara sarebbe stato causato dalla presunta rilevata contraddittorietà delle previsioni della lex specialis predisposta dalla Comune di Taranto. Tale circostanza implicherebbe di per sé la violazione degli obblighi nei confronti dei soggetti che, nel quadro del procedimento amministrativo, abbiano fatto affidamento sulla correttezza e buona fede dell’Amministrazione che ha indetto la procedura ad evidenza pubblica.

9.1. Anche quest’ultima domanda si rivela infondata e deve essere rigettata.

Benché la giurisprudenza abbia ormai ammesso la configurabilità di una responsabilità pre-contrattuale in relazione a condotte tenute dalla Pubblica Amministrazione anche in fasi anteriori all’aggiudicazione, si è chiarito che spetta al giudice la verifica, in concreto, della effettiva ricorrenza di una lesione al legittimo affidamento dell’altra parte (così Cons. St. Adunanza Plenaria, 4 maggio 2018, n. 5).

Invero le ragioni già esposte con riguardo alla sussistenza di un interesse pubblico prevalente alla rimozione dell’atto sub 3.4 spingono qui a concludere che la ricorrente non nutrisse, al momento dell’annullamento in autotutela della procedura un apprezzabile affidamento rispetto alla positiva conclusione dell’iter procedimentale e, quindi, alla stipula del contratto. In questo senso depone lo stadio precoce in cui è intervenuta la rottura delle “trattative” (subito dopo la presentazione delle domande e prima che le venissero valutate dalla stazione appaltante).

L’obiettiva macroscopicità del vizio che affliggeva la determina ritirata (che aveva portato ad optare per un modulo completamente diverso da quello imposto dalla legge) porta, peraltro, ad escludere che la rottura delle “trattative” abbia avuto luogo senza giusta causa. Difetta, pertanto, sul piano materiale anche l’oggettiva violazione dei doveri di correttezza e di lealtà che costituisce ulteriore requisito perché possa configurarsi una responsabilità per culpa in contrahendo dell’Amministrazione.

10. La complessità della vicenda e la assoluta novità delle questioni prospettate giustificano l’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo per la Regione Puglia Lecce- Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge salvo l’obbligo per il Comune di Taranto di indire tempestivamente una nuova procedura di gara per l’affidamento del servizio pubblico di che trattasi.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2020 con l'intervento dei magistrati:

Enrico d'Arpe, Presidente

Maria Luisa Rotondano, Primo Referendario

Giovanni Gallone, Referendario, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giovanni Gallone Enrico d'Arpe
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

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