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Avvocato Generale M.Campos Sanchez - Bordona, 18/12/2019 n. C-719/18
Sulla compatibilità con il diritto dell'Ue della legislazione italiana che impone talune restrizioni alle imprese che operano nel settore dei media audiovisivi e radiofonici, impedendo loro di occuparvi posizioni dominanti.

La libertà di stabilimento tutelata dall'articolo 49 TFUE osta ad una misura nazionale che, al fine di preservare il pluralismo dell'informazione, vieta di acquisire una quota superiore al 10% dei ricavi del mercato dei media a qualsiasi impresa i cui ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche siano superiori al 40% dei ricavi complessivi di tale settore, se:
-per settore delle comunicazioni elettroniche si intende unicamente quello che comprende i mercati suscettibili di regolamentazione ex ante, e
-il divieto è imposto alle imprese collegate ad un'impresa principale sulle quali essa non è in grado di esercitare un'influenza notevole, circostanza il cui accertamento spetta al giudice del rinvio.


Materia: comunità europea / servizi

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

 

M. CAMPOS SÁNCHEZ-BORDONA

 

presentate il 18 dicembre 2019 (1)

 

Causa C-719/18

 

Vivendi SA

 

contro

 

Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni,

 

con l’intervento di:

 

Mediaset SpA

 

(domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Italia)

 

«Rinvio pregiudiziale – Telecomunicazioni – Libertà di stabilimento – Libera circolazione dei capitali – Articoli 49 TFUE e 63 TFUE – Direttiva 2002/21/CE – Legislazione nazionale contro le posizioni dominanti – Calcolo dei ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche e nel sistema integrato di comunicazioni – Limitazione del settore delle comunicazioni elettroniche ai mercati oggetto di regolamentazione ex ante – Computo dei ricavi delle società collegate – Soglia dei ricavi differenziata tra le società attive nel settore delle comunicazioni elettroniche e gli altri operatori – Articolo 11 della Carta – Libertà e pluralismo dei media»

 

1.        La legislazione italiana impone talune restrizioni alle imprese che operano nel settore dei media audiovisivi e radiofonici, impedendo loro di occuparvi posizioni dominanti, al fine di salvaguardare il pluralismo dell’informazione.

 

2.        Fra tali restrizioni rientra il divieto per un’impresa di realizzare oltre il 20% dei ricavi complessivi del cosiddetto «Sistema integrato di comunicazioni» (in prosieguo: il «SIC») (2). Tale percentuale si riduce al 10% se l’impresa detiene nel contempo una quota superiore al 40% dei ricavi complessivi del settore delle comunicazioni elettroniche.

 

3.        Nel presente procedimento, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (in prosieguo: l’«AGCom») ha applicato le norme nazionali per dichiarare che una società francese del settore dei media (la Vivendi SA; in prosieguo: la «Vivendi») le aveva violate acquisendo una partecipazione considerevole nel capitale di una società italiana del medesimo settore (la Mediaset Italia Spa; in prosieguo: la «Mediaset»). La Vivendi occupava una posizione rilevante nel settore italiano delle comunicazioni elettroniche, in virtù del suo controllo sulla Telecom Italia SpA (in prosieguo: la «TIM»).

 

4.        Il giudice chiamato a pronunciarsi sul ricorso proposto dalla Vivendi contro la decisione dell’AGCom sottopone alla Corte i propri dubbi circa la compatibilità, sul punto, della legislazione nazionale con il diritto dell’Unione.

 

I.      Contesto normativo

 

A.      Diritto dell’Unione

 

1.      Direttiva 2002/21/CE (3)

 

5.        L’articolo 14 («Imprese che dispongono di un significativo potere di mercato») dispone quanto segue:

 

«1.      Quando le direttive particolari prescrivono alle autorità nazionali di regolamentazione di accertare se gli operatori dispongano di un significativo potere di mercato, secondo la procedura di cui all'articolo 16, si applicano le disposizioni dei paragrafi 2 e 3 del presente articolo.

 

2.      Si presume che un'impresa disponga di un significativo potere di mercato se, individualmente o congiuntamente con altri, gode di una posizione equivalente ad una posizione dominante ossia una posizione di forza economica tale da consentirle di comportarsi in misura notevole in modo indipendente dai concorrenti, dai clienti e, in definitiva, dai consumatori.

 

In particolare, le autorità nazionali di regolamentazione, nel valutare se due o più imprese godono congiuntamente di una posizione dominante sul mercato, ottemperano alla normativa comunitaria e tengono nella massima considerazione gli orientamenti per l'analisi del mercato e la valutazione del rilevante potere di mercato pubblicati dalla Commissione a norma dell'articolo 15. I criteri cui attenersi nel procedere a tale valutazione sono elencati nell'allegato II.

 

3.      Se un’impresa dispone di un significativo potere su un mercato specifico (il primo mercato), può parimenti essere definita come avente un significativo potere in un mercato strettamente connesso (il secondo mercato) qualora le connessioni tra i due mercati siano tali da consentire al potere detenuto nel primo mercato di esser fatto valere nel secondo, rafforzando in tal modo il potere complessivo dell’impresa interessata. Pertanto, possono essere applicate misure correttive volte a prevenire tale influenza sul secondo mercato a norma degli articoli 9, 10, 11 e 13 della direttiva 2002/19/CE (“direttiva accesso”) e, qualora tali misure correttive risultino essere insufficienti, possono essere imposte misure correttive a norma dell’articolo 17 della direttiva 2002/22/CE (“direttiva servizio universale”)».

 

6.        L’articolo 15 («Procedura per l’individuazione e la definizione dei mercati») dispone quanto segue:

 

«1.      Previa consultazione pubblica, anche delle autorità nazionali di regolamentazione e tenendo nella massima considerazione il parere del BEREC, la Commissione adotta, secondo la procedura di consultazione di cui all’articolo 22, paragrafo 2, una raccomandazione concernente i mercati rilevanti dei servizi e dei prodotti (“la raccomandazione”). La raccomandazione individua i mercati dei prodotti e dei servizi all’interno del settore delle comunicazioni elettroniche le cui caratteristiche siano tali da giustificare l’imposizione di obblighi di regolamentazione stabiliti dalle direttive particolari senza che ciò pregiudichi l’individuazione di altri mercati in casi specifici di applicazione delle regole di concorrenza. La Commissione definisce i mercati in base ai principi del diritto della concorrenza.

 

La Commissione riesamina periodicamente la raccomandazione.

 

2.      La Commissione provvede a pubblicare orientamenti per l'analisi del mercato e la valutazione del significativo potere di mercato (in prosieguo «gli orientamenti») conformi ai principi del diritto della concorrenza entro la data di entrata in vigore della presente direttiva.

 

3.      Le autorità nazionali di regolamentazione, tenendo nella massima considerazione la raccomandazione e gli orientamenti, definiscono i mercati rilevanti corrispondenti alla situazione nazionale, in particolare i mercati geografici rilevanti nel loro territorio, conformemente ai principi del diritto della concorrenza. Prima di definire i mercati che differiscono da quelli individuati nella raccomandazione, le autorità nazionali di regolamentazione applicano la procedura di cui agli articoli 6 e 7.

 

4.      Previa consultazione, anche delle autorità nazionali di regolamentazione, la Commissione può, tenendo nella massima considerazione il parere del BEREC, adottare una decisione relativa all’individuazione dei mercati transnazionali secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 22, paragrafo 3».

 

7.        L’articolo 16 («Procedura per l’analisi del mercato») così prevede:

 

«1.      Le autorità nazionali di regolamentazione effettuano un’analisi dei mercati rilevanti tenendo conto dei mercati individuati nella raccomandazione e tenendo nella massima considerazione gli orientamenti. Gli Stati membri provvedono affinché questa analisi sia effettuata, se del caso, in collaborazione con le autorità nazionali garanti della concorrenza.

 

2.      Quando, ai sensi dei paragrafi 3 o 4 del presente articolo, dell’articolo 17 della direttiva 2002/22/CE (“direttiva servizio universale”) o dell’articolo 8 della direttiva 2002/19/CE (“direttiva accesso”), è tenuta a decidere in merito all’imposizione, al mantenimento, alla modifica o alla revoca di obblighi a carico delle imprese, l’autorità nazionale di regolamentazione determina, in base alla propria analisi di mercato di cui al paragrafo 1 del presente articolo, se uno dei mercati rilevanti sia effettivamente concorrenziale.

 

3.      Se conclude che tale mercato è effettivamente concorrenziale, l'autorità nazionale di regolamentazione non impone né mantiene nessuno degli obblighi di regolamentazione specifici di cui al paragrafo 2. Qualora siano già in applicazione obblighi di regolamentazione settoriali, li revoca per le imprese operanti in tale mercato rilevante. La revoca degli obblighi è comunicata alle parti interessate con un congruo preavviso.

 

4.      Qualora accerti che un mercato rilevante non è effettivamente concorrenziale l’autorità nazionale di regolamentazione individua le imprese che individualmente o congiuntamente dispongono di un significativo potere di mercato su tale mercato conformemente all’articolo 14 e l’autorità nazionale di regolamentazione impone a tali imprese gli appropriati specifici obblighi di regolamentazione di cui al paragrafo 2 del presente articolo ovvero mantiene in vigore o modifica tali obblighi laddove già esistano.

 

5.      Nel caso dei mercati transnazionali paneuropei individuati nella decisione di cui all’articolo 15, paragrafo 4, le autorità nazionali di regolamentazione interessate effettuano congiuntamente l’analisi di mercato, tenendo nella massima considerazione gli orientamenti, e si pronunciano di concerto in merito all’imposizione, al mantenimento, alla modifica o alla revoca di obblighi di regolamentazione di cui al paragrafo 2 del presente articolo.

 

6.      Le misure di cui ai paragrafi 3 e 4 sono adottate secondo le procedure di cui agli articoli 6 e 7. (…)».

 

2.      Direttiva 2010/13/UE (4)

 

8.        I considerando 5, 8 e 34 della direttiva 2010/13 enunciano quanto segue:

 

«(5)      I servizi di media audiovisivi sono nel contempo servizi culturali ed economici. L’importanza crescente che rivestono per le società, la democrazia – soprattutto a garanzia della libertà d’informazione, della diversità delle opinioni e del pluralismo dei mezzi di informazione –, l’istruzione e la cultura giustifica l’applicazione di norme specifiche a tali servizi.

 

(...)

 

(8)      È essenziale che gli Stati membri vigilino affinché non si commettano atti pregiudizievoli per la libera circolazione e il commercio delle trasmissioni televisive o tali da favorire la formazione di posizioni dominanti comportanti limitazioni del pluralismo e della libertà dell’informazione televisiva nonché dell’informazione in genere.

 

(...)

 

(34)      Al fine di promuovere un’industria audiovisiva europea forte, competitiva e integrata e potenziare il pluralismo dei media in tutta l’Unione, solo uno Stato membro dovrebbe avere giurisdizione su un fornitore di servizi di media audiovisivi e il pluralismo dell’informazione dovrebbe essere un principio fondamentale dell’Unione».

 

9.        L’articolo 1, paragrafo 1, prevede quanto segue:

 

«1.      Ai fini della presente direttiva si intende per:

 

a)      “servizio di media audiovisivo”:

 

i)      un servizio, quale definito agli articoli 56 e 57 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che è sotto la responsabilità editoriale di un fornitore di servizi di media e il cui obiettivo principale è la fornitura di programmi al fine di informare, intrattenere o istruire il grande pubblico, attraverso reti di comunicazioni elettroniche ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della direttiva 2002/21/CE. Per siffatto servizio di media audiovisivo si intende o una trasmissione televisiva come definita alla lettera e) del presente paragrafo o un servizio di media audiovisivo a richiesta come definito alla lettera g) del presente paragrafo;

 

ii)      una comunicazione commerciale audiovisiva».

 

B.      Diritto nazionale

 

1.      Decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici) (5)

 

10.      L’articolo 2, comma 1, lettera l), descrive il SIC nei seguenti termini:

 

«[I]l settore economico che comprende le seguenti attività: stampa quotidiana e periodica; editoria annuaristica ed elettronica anche per il tramite di Internet; radio e televisione; cinema; pubblicità esterna; iniziative di comunicazione di prodotti e servizi; sponsorizzazioni».

 

11.      Ai sensi dell’articolo 43 («Posizioni dominanti nel sistema integrato delle comunicazioni»):

 

«1.      I soggetti che operano nel sistema integrato delle comunicazioni sono tenuti a notificare all’Autorità le intese e le operazioni di concentrazione, al fine di consentire, secondo le procedure previste in apposito regolamento adottato dall’Autorità medesima, la verifica del rispetto dei principi enunciati dai commi 7, 8, 9, 10, 11 e 12.

 

2.      L’Autorità, su segnalazione di chi vi abbia interesse o, periodicamente, d’ufficio, individuato il mercato rilevante conformemente ai principi di cui agli articoli 15 e 16 della direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, verifica che non si costituiscano, nel sistema integrato delle comunicazioni e nei mercati che lo compongono, posizioni dominanti e che siano rispettati i limiti di cui ai commi 7, 8, 9, 10, 11 e 12, tenendo conto, fra l’altro, oltre che dei ricavi, del livello di concorrenza all’interno del sistema, delle barriere all’ingresso nello stesso, delle dimensioni di efficienza economica dell’impresa nonché degli indici quantitativi di diffusione dei programmi radiotelevisivi, dei prodotti editoriali e delle opere cinematografiche o fonografiche.

 

(...)

 

9.      Fermo restando il divieto di costituzione di posizioni dominanti nei singoli mercati che compongono il sistema integrato delle comunicazioni, i soggetti tenuti all’iscrizione nel registro degli operatori di comunicazione costituito ai sensi dell’articolo 1, comma 6, lettera a), numero 5), della legge 31 luglio 1997, n. 249, non possono né direttamente, né attraverso soggetti controllati o collegati ai sensi dei commi 14 e 15, conseguire ricavi superiori al 20 per cento dei ricavi complessivi del sistema integrato delle comunicazioni.

 

(...)

 

11.      Le imprese, anche attraverso società controllate o collegate, i cui ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche, come definito ai sensi dell’articolo 18 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, sono superiori al 40 per cento dei ricavi complessivi di quel settore, non possono conseguire nel sistema integrato delle comunicazioni ricavi superiori al 10 per cento del sistema medesimo.

 

(...)

 

14.      Ai fini del presente testo unico il controllo sussiste, anche con riferimento a soggetti diversi dalle società, nei casi previsti dall’articolo 2359, commi primo e secondo, del codice civile».

 

2.      Codice civile

 

12.      L’articolo 2359 dispone quanto segue:

 

«Sono considerate società controllate:

 

1)      le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;

 

2)      le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;

 

3)      le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

 

(...)

 

Sono considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati».

 

II.    Controversia principale e questioni pregiudiziali

 

13.      La Vivendi, società di diritto francese iscritta al Registro delle Imprese di Parigi, è al vertice di un gruppo attivo nel settore dei media e nella creazione e distribuzione di contenuti audiovisivi.

 

14.      La Vivendi possiede il 23,94% del capitale della TIM, società di cui detiene il controllo (6) a seguito dell’assemblea degli azionisti del 4 maggio 2017, nella quale ha ottenuto la maggioranza dei seggi del consiglio di amministrazione (7).

 

15.      L’8 aprile 2016 la Vivendi, la Mediaset e la Reti Televisive Italiane SpA hanno stipulato un contratto di partnership strategica, mediante il quale la Vivendi acquisiva il 3,5% del capitale della Mediaset nonché il 100% di quello della Mediaset Premium SpA, cedendo in cambio il 3,5% del proprio capitale sociale.

 

16.      A causa di contrasti su tale accordo, nel dicembre 2016 la Vivendi avviava una campagna ostile di acquisizione di azioni della Mediaset. Al 22 dicembre 2016 la Vivendi deteneva già il 28,8% del capitale sociale della Mediaset, pari al 29,94% dei suoi diritti di voto. Tuttavia, tale partecipazione minoritaria qualificata non le consentiva di esercitare il controllo su detta società, che continuava ad essere controllata dal gruppo Fininvest (8).

 

17.      Il 20 dicembre 2016 la Mediaset denunciava all’AGCom che la Vivendi, acquisendo le azioni di cui sopra, aveva violato l’articolo 43, comma 11, del TUSMAR.

 

18.      Con delibera n. 178/17/CONS del 18 aprile 2017 (9), l’AGCom accertava che la Vivendi, in ragione delle predette partecipazioni, aveva violato l’articolo 43, comma 11, del TUSMAR e le ordinava di cessare tale violazione entro un termine di dodici mesi.

 

19.      La Vivendi ottemperava all’ordine dell’AGCom trasferendo ad una società indipendente (la Simon Fiduciaria SpA), in data 6 aprile 2018, la proprietà del 19,19% delle azioni Mediaset (pari al 19,95% dei diritti di voto). In tal modo, la Vivendi manteneva una partecipazione azionaria diretta nella Mediaset inferiore al 10% dei voti esercitabili nell’assemblea degli azionisti di quest’ultima.

 

20.      Fatto salvo quanto precede, la Vivendi impugnava la delibera dell’AGCom dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Italia), chiedendone l’annullamento.

 

21.      Nell’ambito di tale controversia, il giudice chiamato a dirimerla sottopone alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

 

«1)      Se, pur essendo facoltà degli Stati membri accertare quando le imprese godano di una posizione dominante (con conseguente imposizione alle stesse di specifici obblighi) sia, o meno, contrastante con il diritto dell’Unione Europea e, in particolare, con il principio della libertà di circolazione dei capitali di cui all’art. 63 TFUE, la disposizione di cui all’art. 43, comma 11, del d.lgsl 31.7.2005, n. 177, nel testo vigente alla data di adozione della delibera impugnata, secondo cui “le imprese, anche attraverso società controllate o collegate, i cui ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche, come definito ai sensi dell’articolo 18 del decreto legislativo l° agosto 2003, n. 259, sono superiori al 40 per cento dei ricavi complessivi di quel settore, non possono conseguire nel sistema integrato delle comunicazioni ricavi superiori al 10 per cento del sistema medesimo”; quanto sopra, nella parte in cui, attraverso il richiamo all’articolo 18 del Codice delle comunicazioni elettroniche, si limita il settore in questione ai mercati suscettibili di regolamentazione ex ante, nonostante il dato di comune esperienza, secondo cui l’informazione (al cui pluralismo la norma è finalizzata) risulta veicolata in misura crescente dall’uso di internet, dei personal computer e della telefonia mobile, tanto da poter rendere irragionevole l’esclusione dal settore stesso, in particolare, dei servizi al dettaglio di telefonia mobile, solo perché operanti in pieno regime di concorrenza. Quanto sopra, tenendo anche conto del fatto che l’Autorità ha delimitato i confini del settore delle comunicazioni elettroniche, ai fini dell’applicazione del citato art. 43, comma 11, proprio in occasione del procedimento in esame, prendendo in considerazione solo i mercati, in ordine ai quali sia stata svolta almeno un’analisi dall’entrata in vigore del CCE, quindi dal 2003 ad oggi, e con ricavi desunti dall’ultimo accertamento utile, effettuato nel 2015.

 

2)      Se i principi in tema di tutela della libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), gli artt. 15 e 16 della direttiva 2002/21/CE “servizi di media audiovisivi e radiofonici”, posti a tutela del pluralismo e della liber[t]à di espressione, e il principio [di diritto dell’Unione europea] di proporzionalità, ostino all’applicazione di una normativa nazionale in materia di servizi di media audiovisivi e radiofonici pubblici, come quella italiana, contenuta nell’articolo 43, commi 11 e 14, secondo la quale i ricavi, rilevanti per determinare la seconda soglia di sbarramento del 10%, sono rapportabili anche ad imprese non controllate né soggette ad influenza dominante, ma anche solo “collegate” nei termini di cui all’art. 2359 del codice civile (richiamato dal comma 14 dell’art. 43), pur risultando non esercitabile, nei confronti di queste ultime, alcuna influenza sulle informazioni da diffondere.

 

3)      Se i principi in tema di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), gli artt. 15 e 16 della direttiva 2002/21/CE, i principi in materia di tutela del pluralismo delle fonti d’informazione e della concorrenza nel settore radiotelevisivo di cui alla Direttiva 2010/13/UE sui Servizi di media audiovisivi e alla direttiva 2002/21/CE ostino ad una disciplina nazionale come il d.lgsl 177/2005, che nei commi 9 e 11 dell’art. 43, sottopone a soglie di sbarramento molto diverse (rispettivamente, del 20% e del 10%) i “soggetti tenuti all’iscrizione nel registro degli operatori di comunicazione, costituito ai sensi dell’art. 1, comma 6, lettera a), n. 5 della legge 31 luglio 1997, n. 249” (ovvero i soggetti destinatari di concessione o autorizzazione in base alla vigente normativa, da parte dell’Autorità o di altre Amministrazioni competenti, nonché le imprese concessionarie di pubblicità comunque trasmessa, le imprese editrici etc., di cui al comma 9) rispetto alle imprese operanti nel settore delle comunicazioni elettroniche, come in precedenza definito (nell’ambito del comma 11)».

 

22.      La Vivendi, la Mediaset, il governo italiano e la Commissione hanno presentato osservazioni scritte e sono comparsi all’udienza tenutasi il 9 ottobre 2019.

 

III. Analisi

 

A.      Ricevibilità delle questioni pregiudiziali

 

23.      Il governo italiano ritiene che la prima questione sia ipotetica, in quanto la Vivendi avrebbe detenuto nell’anno di riferimento una quota pari al 45,9% dei ricavi del settore delle comunicazioni elettroniche, grazie al suo controllo della TIM, anche nel caso in cui tale mercato fosse stato delimitato in modo più ampio. Essa avrebbe quindi superato, in ogni caso, la soglia del 40% dei ricavi.

 

24.      L’eccezione di irricevibilità non può essere accolta, poiché ciò che il giudice adito mette in dubbio è precisamente la compatibilità con il diritto dell’Unione della percentuale fissata per limitare l’accesso al SIC delle imprese attive nel settore delle comunicazioni elettroniche.

 

25.      La Mediaset afferma che le questioni sollevate dal giudice del rinvio sono irricevibili in quanto non forniscono una descrizione chiara e coerente del contesto normativo nazionale e non spiegano la pertinenza, ai fini della risoluzione della controversia, di alcune disposizioni del diritto dell’Unione da esso citate.

 

26.      Neppure tale obiezione può essere accolta, giacché le questioni pregiudiziali relative al diritto dell’Unione sono assistite da una presunzione di rilevanza, non confutata nel caso di specie. Il rifiuto della Corte di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora risulti in modo manifesto che l’interpretazione o l’esame di validità richiesto relativamente ad una norma dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia nel procedimento principale, oppure qualora il problema sia di natura ipotetica, o anche quando la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le vengono sottoposte (10).

 

27.      Nel caso in esame non ricorre alcuna di tali circostanze. Se pure la decisione di rinvio menziona talune norme del diritto dell’Unione senza illustrarne la rilevanza ai fini della risoluzione della controversia, essa contiene tuttavia elementi di giudizio sufficienti per comprendere i problemi giuridici sollevati in merito alla possibile incompatibilità della normativa italiana con le norme del diritto dell’Unione. La Corte è quindi in grado di fornire una risposta utile al giudice del rinvio.

 

B.      Norme pertinenti del diritto dell’Unione

 

1.      Disposizioni del TFUE

 

28.      Sebbene si riferiscano alla medesima legge italiana, le tre questioni pregiudiziali vertono sulla compatibilità di vari elementi della stessa, quali interpretati nel presente procedimento, con diverse disposizioni del TFUE. In particolare, la prima fa riferimento all’articolo 63 TFUE (libertà di circolazione dei capitali), mentre le altre due riguardano gli articoli 49 TFUE (diritto di stabilimento) e 56 TFUE (libera prestazione dei servizi) (11).

 

29.      Per quanto concerne quest’ultima disposizione, è sufficiente rilevare che l’articolo 56 TFUE non risulta applicabile al presente procedimento in quanto non esiste nella controversia principale una prestazione transfrontaliera di servizi.

 

30.      Per contro, la normativa italiana potrebbe, in linea di principio, essere in contrasto sia con la libertà di stabilimento (articolo 49 TFUE) sia con la libertà di circolazione dei capitali (articolo 63 TFUE).

 

31.      Secondo la giurisprudenza della Corte, per stabilire se una normativa nazionale rientri nell’ambito dell’una o dell’altra di tali libertà, occorre tenere conto del suo oggetto, di modo che (12):

 

      l’articolo 49 TFUE entra in gioco quando si tratti di una norma nazionale destinata ad applicarsi esclusivamente alle partecipazioni che consentono di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di una società e di determinarne le attività;

 

      si applica invece l’articolo 63 TFUE se le disposizioni nazionali riguardano partecipazioni effettuate al solo scopo di realizzare un investimento finanziario, senza intenzione di influire sulla gestione e sul controllo dell’impresa (13).

 

32.      Dalle informazioni contenute nel fascicolo si evince che l’acquisizione di azioni e del controllo della TIM da parte della Vivendi presuppongono l’esercizio del diritto di stabilimento. Al contrario, l’acquisizione da parte della Vivendi di una quota significativa delle azioni della Mediaset rientrerebbe nella libertà di circolazione dei capitali (qualora la Vivendi intendesse solo effettuare un investimento finanziario) o nella libertà di stabilimento (qualora la Vivendi aspirasse ad intervenire nella gestione della Mediaset).

 

33.      La normativa italiana impone restrizioni ad entrambe le libertà, in quanto l’elemento che impedisce alla Vivendi di effettuare un investimento considerevole in azioni della Mediaset è la sua partecipazione nel capitale, e il conseguente controllo, della TIM, società che detiene una quota elevata del mercato italiano delle comunicazioni elettroniche (14).

 

34.      Sebbene l’esito della ponderazione tra la legislazione italiana e le esigenze della libertà di circolazione dei capitali non varierebbe in misura sensibile ove si tenesse conto invece delle esigenze della libertà di stabilimento, data la giurisprudenza convergente della Corte sulle due libertà in parola, ritengo che le caratteristiche della controversia principale consiglino di esaminare tale compatibilità con le norme relative al diritto di stabilimento (15).

 

35.      La controversia tra la Vivendi e la Mediaset ha come sfondo la volontà del gruppo francese di intervenire nella gestione della Mediaset (16) ed acquisire in tal modo una quota significativa del mercato italiano dei media. Ciò cui sembra mirare la Vivendi non è un semplice investimento di capitali, realizzato attraverso l’acquisizione di azioni della suddetta società al solo scopo di conseguire utili.

 

36.      Se così fosse, si tratterebbe dell’esercizio del diritto di stabilimento di un’impresa francese sul mercato italiano dei media, ostacolato dall’applicazione data dall’AGCom alla legge nazionale. Ciò cui la Vivendi sembrava puntare con l’acquisizione del 28,8% del capitale sociale della Mediaset, che le conferisce il 29,94% dei diritti di voto, era, ripeto, esercitare un’effettiva influenza sulla gestione della Mediaset e determinare, in una certa misura, le attività di tale impresa, ai sensi della giurisprudenza della Corte.

 

2.      Direttive in materia di comunicazioni elettroniche e di servizi di media audiovisivi

 

37.      Il giudice del rinvio fa riferimento sia alla direttiva quadro (in particolare ai suoi articoli 15 e 16) sia alla direttiva 2010/13, sui servizi di media audiovisivi.

 

38.      Secondo costante giurisprudenza della Corte, in caso di armonizzazione esaustiva, le direttive si applicano in via prioritaria e fanno passare in subordine l’uso delle norme di diritto primario (nella fattispecie quelle relative alle libertà di circolazione nel mercato interno). Se le direttive di armonizzazione non sono esaustive, possono essere applicate in combinato disposto con il diritto primario.

 

39.      Nel caso in esame occorre quindi stabilire se la direttiva quadro e la direttiva 2010/13 costituiscano gli unici riferimenti per rispondere alle questioni pregiudiziali o se, al contrario, debbano applicarsi in via principale le norme del diritto primario (in particolare l’articolo 49 TFUE), pur tenendo conto di alcune disposizioni delle due direttive citate.

 

40.      A mio avviso, le menzionate direttive non armonizzano la materia in maniera esaustiva e lasciano agli Stati membri un ampio margine di discrezionalità per adottare decisioni nazionali. Il controllo di queste ultime deve essere effettuato alla luce dell’articolo 49 TFUE e della giurisprudenza della Corte che lo interpreta.

 

41.      In particolare, la direttiva quadro stabilisce le funzioni attribuite alle autorità nazionali di regolamentazione (in prosieguo: «ANR»). Fra tali funzioni rientra segnatamente (articolo 16) l’analisi dei mercati rilevanti, in esito alla quale le ANR (17) possono imporre obblighi specifici, denominati anche «misure correttive», a carico di operatori che detengono un significativo potere di mercato in uno di tali settori (18). Si tratta pertanto di funzioni di regolamentazione per il cui esercizio le ANR dispongono di un ampio potere discrezionale che consente loro di valutare, caso per caso, le esigenze di regolamentazione di un mercato (19), eventualmente con l’assistenza della Commissione (20).

 

42.      L’applicazione dell’articolo 43, comma 11, del TUSMAR effettuata dall’AGCom in relazione alla Vivendi potrebbe rientrare, in linea di principio, nell’ambito della direttiva quadro, ma il margine di discrezionalità lasciato da quest’ultima alle ANR impone di valutarne l’eventuale incompatibilità con il diritto dell’Unione alla luce dei requisiti dell’articolo 49 TFUE.

 

43.      Per quanto riguarda la direttiva 2010/13, la Corte ha dichiarato che non rientra nel suo ambito di applicazione una normativa nazionale che, nel perseguire un obiettivo di interesse generale, disciplina taluni aspetti della diffusione o della distribuzione di servizi di media audiovisivi, a meno che essa non istituisca un secondo controllo delle trasmissioni di radiodiffusione televisiva oltre a quello che lo Stato membro da cui proviene la trasmissione è tenuto ad effettuare (21).

 

44.      Atteso che la normativa italiana (vale a dire, l’articolo 43 del TUSMAR, laddove vieta di superare la soglia del 10% del SIC alle imprese i cui ricavi provengano per il 40% dal settore delle comunicazioni elettroniche) non ha alcuna incidenza sulle trasmissioni e non comporta un controllo secondario delle trasmissioni di radiodiffusione, essa non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2010/13. Detta normativa nazionale è inoltre intesa a tutelare il pluralismo dei media e la libertà di informazione, ossia obiettivi di interesse generale.

 

45.      In definitiva, la prospettiva dalla quale si deve analizzare la legislazione interna è, nel presente procedimento, quella dell’articolo 49 TFUE.

 

C.      Restrizioni al diritto di stabilimento

 

46.      Intendo esaminare la compatibilità della normativa italiana, quale interpretata nel caso di specie, con l’articolo 49 TFUE, rispondendo congiuntamente alle tre questioni pregiudiziali, onde evitare ripetizioni.

 

47.      Secondo costante giurisprudenza della Corte, detta disposizione osta ad ogni provvedimento nazionale che, pur se applicabile senza discriminazioni in base alla nazionalità, possa ostacolare o scoraggiare l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, della libertà di stabilimento garantita dal Trattato. Siffatti effetti restrittivi possono prodursi quando una società, a causa di una normativa nazionale, possa essere dissuasa dal creare in altri Stati membri entità subordinate, come un centro di attività stabile, nonché dall’esercitare le sue attività tramite tali entità (22).

 

48.      La restrizione imposta alla Vivendi sul fondamento del TUSMAR ne ostacola la libertà di stabilirsi in Italia, impedendole di influire sulla gestione ed eventualmente assumere il controllo della Mediaset. Non si tratta quindi di un ostacolo diretto alla libertà di stabilimento, basato sulla nazionalità, bensì di un ostacolo indiretto, applicabile indistintamente agli operatori nazionali e alle imprese di altri Stati membri.

 

49.      L’effetto restrittivo della normativa italiana deriva dalla combinazione dei tre elementi evocati dal giudice del rinvio:

 

      da un lato, dall’utilizzo di una nozione limitata del «settore delle comunicazioni elettroniche», circoscritta ai mercati suscettibili di regolamentazione ex ante;

 

      dall’altro, dal computo dei ricavi delle società «collegate» (e non solo delle società «controllate») per calcolare le quote di mercato nel settore delle comunicazioni elettroniche e nel settore dei media;

 

      infine, dalla determinazione di soglie diverse (il 20% e il 10% dei ricavi del SIC) per l’acquisizione di partecipazioni nei media.

 

1.      La perimetrazione restrittiva del settore delle comunicazioni elettroniche

 

50.      Per quanto riguarda il primo elemento, l’AGCom utilizza una definizione restrittiva del settore delle comunicazioni elettroniche, derivante dalla lettura combinata dell’articolo 43, comma 11, del TUSMAR e dell’articolo 18 del Codice delle comunicazioni elettroniche italiano. In tal modo, riducendosi di fatto l’estensione del settore delle comunicazioni elettroniche, è più facile che un’unica impresa raggiunga il 40% dei ricavi di tale settore, con conseguente limitazione delle sue possibilità di insediarsi nel settore dei media in Italia.

 

51.      L’applicazione data dall’AGCom alle due disposizioni italiane sopra citate riduce, come si è già rilevato, il settore delle comunicazioni elettroniche ai mercati suscettibili di regolamentazione ex ante (23), vale a dire, a quelli in ordine ai quali sia stata svolta almeno un’analisi dall’entrata in vigore del Codice delle comunicazioni elettroniche (2003) ad oggi e i cui ricavi risultino dall’ultimo accertamento utile (2015).

 

52.      In tal modo, l’AGCom esclude dal settore delle comunicazioni elettroniche mercati di importanza crescente per la trasmissione delle informazioni: ciò vale per il mercato dei servizi al dettaglio di telefonia mobile, che è un mercato concorrenziale in cui non sono richiesti interventi di regolamentazione ex ante degli Stati membri, per gli altri servizi di comunicazioni elettroniche collegati a Internet o per i servizi di radiodiffusione satellitare. Gli uni e gli altri sono divenuti la principale via di accesso ai media ed è quindi illogico escluderli dal computo.

 

53.      Per effetto di tale perimetrazione restrittiva del settore delle comunicazioni elettroniche aumenta il potere di mercato ivi detenuto da un’impresa di un altro Stato membro (nella fattispecie la Vivendi) che partecipa al capitale di un operatore quale la TIM e, simultaneamente, diminuiscono le sue possibilità di partecipare al settore dei media audiovisivi, rendendo in tal modo più difficile il suo insediamento in Italia.

 

2.      L’incidenza del «collegamento» tra società

 

54.      Per quanto riguarda il secondo elemento, l’AGCom tiene conto, al fine di determinare la posizione dominante di una specifica impresa sui mercati, non solo dei ricavi delle società «controllate», ma altresì di quelli delle società «collegate» sulle quali detta impresa esercita un’«influenza notevole» ai sensi dell’articolo 2359, comma 3, del Codice civile italiano.

 

55.      Nel caso in esame, la partecipazione della Vivendi nella Mediaset non ha consentito, di fatto, alla prima di esercitare un’influenza notevole sulla seconda (24), poiché quest’ultima è controllata dal gruppo Fininvest, che ne definisce la linea d’azione e con il quale la Vivendi è in contrasto. Si tratta, tuttavia, di una questione di fatto che può essere chiarita con certezza soltanto dal giudice del rinvio.

 

56.      Se così fosse, la libertà di stabilimento della Vivendi in Italia sarebbe lesa dall’applicazione della normativa controversa, dato che, imputandole i ricavi delle società «collegate» (come la Mediaset), sulla cui strategia commerciale essa non è in grado di influire, diminuirebbero le sue possibilità di insediarsi nel SIC (25).

 

3.      La duplice soglia di ricavi nel settore dei media audiovisivi

 

57.      La libertà di stabilimento della Vivendi in Italia risulta inoltre limitata dall’applicazione nei suoi confronti di un divieto di conseguire ricavi nel SIC più rigoroso rispetto a quello previsto per i normali operatori di comunicazioni.

 

58.      La normativa nazionale consente a questi ultimi (26) di raggiungere il 20% dei ricavi del SIC. Per contro, le imprese che detengono oltre il 40% del settore delle comunicazioni elettroniche sono autorizzate a conseguire solo il 10% dei ricavi del medesimo SIC. Quest’ultima disposizione si applica, in realtà, unicamente alla TIM, controllata dalla Vivendi, in quanto solo essa realizza una quota superiore al 40% dei ricavi del settore delle comunicazioni elettroniche.

 

59.      La fissazione di una soglia massima di ricavi per l’esercizio di un’attività commerciale nel settore dei media italiano implica, di per sé, una restrizione alla libertà di stabilimento in Italia delle imprese di altri Stati membri. Detta restrizione è tanto più grave in quanto la soglia è fissata, nel modo sopra indicato, in maniera differenziata e pregiudica maggiormente un’impresa di un altro Stato membro che controlla una società italiana.

 

60.      In conclusione, la libertà di stabilimento tutelata dall’articolo 49 TFUE risulta lesa dall’effetto dissuasivo della normativa italiana, che limita – nel senso sopra indicato – la possibilità che imprese di altri Stati membri entrino nel settore italiano dei media.

 

61.      Siffatta restrizione, tuttavia, potrebbe essere fondata su legittimi motivi idonei a giustificarla, che esaminerò subito.

 

D.      Giustificazione della restrizione

 

62.      Secondo costante giurisprudenza della Corte, la libertà di stabilimento di cui all’articolo 49 TFUE può essere limitata solo con normative giustificate dalle deroghe espressamente previste all’articolo 52 TFUE (ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica) o da ragioni imperative di interesse pubblico, applicabili a qualunque persona o impresa che svolga un’attività nel territorio dello Stato membro ospitante. Inoltre, per essere così giustificata, la normativa nazionale di cui trattasi dev’essere idonea a garantire la realizzazione dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di quest’ultimo (27).

 

63.      Ho già rilevato che la normativa italiana si applica indistintamente a tutti gli operatori attivi nel settore delle comunicazioni elettroniche e dei media in Italia. Pertanto, sarebbe possibile giustificarla con una delle deroghe espresse di cui all’articolo 52 TFUE o con una ragione imperativa di interesse generale.

 

64.      Sia la Mediaset che le autorità italiane invocano la ragione imperativa di interesse generale consistente nella tutela del pluralismo dell’informazione, che figura anche nel TUSMAR (28). Il giudice del rinvio ritiene inoltre che la normativa controversa possa essere giustificata dalla tutela del pluralismo dell’informazione e dei media.

 

65.      Ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, «[l]a libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati». Entrambi gli elementi sono indispensabili per l’esistenza dei diritti alla libertà di espressione e di informazione, tutelati da tale articolo della Carta, il quale si ispira all’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) (29).

 

66.      Il protocollo n. 29 del TFUE fa parimenti riferimento al pluralismo dei media laddove indica che «(...) il sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri è direttamente collegato alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché all’esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione».

 

67.      Anche la direttiva quadro e la direttiva 2010/13 contengono richiami al pluralismo dei media. Ad esso si riferiscono, in particolare, il considerando 5 della direttiva quadro (30) nonché i considerando 5 e 8 della direttiva 2010/13 (31). Il Parlamento europeo ha insistito sull’importanza di detto pluralismo per garantire la libertà di espressione in una società democratica (32).

 

68.      La Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU») ha elaborato una giurisprudenza pertinente sull’importanza del pluralismo dei media interpretando l’articolo 10 della CEDU (33).

 

69.      La Corte EDU ha stabilito che la libertà di espressione, sancita dall’articolo 10, paragrafo 1, costituisce una delle basi essenziali di una società democratica e una delle condizioni fondamentali del suo progresso. Non vi è democrazia senza pluralismo e la democrazia si nutre della libertà di espressione, ragion per cui è essenziale permettere la proposta e la discussione di progetti politici diversi, compresi quelli che rimettono in discussione la modalità organizzativa attuale di uno Stato, purché non siano volti a compromettere la democrazia stessa (34).

 

70.      La Corte EDU aggiunge che, in una società democratica, non basta, per garantire un vero e proprio pluralismo nel settore audiovisivo, prevedere l’esistenza di più canali o la possibilità teorica per i potenziali operatori di accedere al mercato audiovisivo. Occorre anche consentire un accesso effettivo a tale mercato, in modo da assicurare nel contenuto dei programmi globalmente considerati una diversità che rispecchi per quanto possibile la varietà delle correnti di pensiero che attraversano la società alla quale tali programmi sono rivolti (35).

 

71.      Per tale motivo, essa considera contrario all’articolo 10 della CEDU il fatto che una parte economica o politica della società possa ottenere una posizione dominante rispetto ai media audiovisivi ed esercitare in tal modo una pressione sulle emittenti per limitarne in definitiva la libertà editoriale (36). Lo stesso vale quando la posizione dominante sia occupata da un organismo di radiodiffusione dello Stato che detiene il monopolio delle frequenze disponibili (37).

 

72.      Tenuto conto di tali elementi normativi e giurisprudenziali, è logico che la Corte di giustizia non abbia esitato a qualificare il pluralismo dei media come una ragione imperativa di interesse generale (38), la cui tutela può giustificare l’adozione di misure nazionali che limitano la libertà di stabilimento (e altre libertà del mercato interno) (39). Essa ne ha inoltre sottolineato l’importanza in una società democratica (40).

 

73.      In linea di principio, l’articolo 43 del TUSMAR è idoneo a conseguire l’obiettivo di tutela del pluralismo dei media, in quanto impedisce che un’unica impresa ottenga, direttamente o tramite proprie controllate, una quota rilevante (superiore al 20%) (41) del mercato dei media. Pertanto, tale normativa è idonea a tutelare il pluralismo dell’informazione nella sua dimensione esterna.

 

74.      Si potrebbe inoltre ammettere che, tenuto conto della prossimità tra il settore dei servizi di comunicazione elettronica e quello dei media, vengano posti determinati limiti alla possibilità per le imprese che detengono già una posizione dominante nel primo (ad esempio la TIM, che è l’impresa leader del settore) di approfittare di tale circostanza per rafforzare la loro posizione nel settore dei media. La misura nazionale che, in tali casi, limita l’accesso al settore dei media e ne impedisce l’eccessiva concentrazione nelle mani di un operatore può favorire il pluralismo dell’informazione, quanto meno in teoria.

 

75.      Tuttavia, oltre ad essere idonea a conseguirlo, tale normativa nazionale non deve andare oltre quanto necessario per raggiungere l’obiettivo di tutela del pluralismo dell’informazione. In altri termini, essa deve superare il test di proporzionalità elaborato dalla giurisprudenza della Corte (42).

 

E.      Proporzionalità della restrizione

 

76.      Sebbene spetti al giudice del rinvio ponderare la proporzionalità tra la misura in esame e le finalità cui è ispirata, la Corte può fornirgli indicazioni utili al riguardo.

 

77.      A mio avviso, il rispetto del requisito di proporzionalità risulta quanto meno discutibile nel caso di specie, ove si tenga conto dei fattori di seguito illustrati.

 

78.      In primo luogo, per definire il settore delle comunicazioni elettroniche, l’AGCom interpreta l’articolo 43 del TUSMAR e l’articolo 18 del Codice delle comunicazioni elettroniche in termini molto rigorosi, difficilmente conciliabili con gli articoli 15 e 16 della direttiva quadro e con le raccomandazioni della Commissione relative a tale settore (43).

 

79.      Come sostenuto dalla Commissione e dalla Vivendi, siffatta delimitazione dei mercati delle comunicazioni elettroniche non presenta alcun nesso con l’obiettivo di garantire il pluralismo del settore, collegato ma distinto, dei media. Per definire il perimetro del settore delle comunicazioni elettroniche in quanto tale si dovrebbe tenere conto di tutti i mercati presenti nello stesso, e non solo di quelli che richiedono interventi ex ante in quanto non presentano un grado di concorrenza sufficiente.

 

80.      Ho già rilevato (44) che nella perimetrazione dei mercati delle comunicazioni elettroniche devono essere inclusi tutti i mercati presenti nello stesso e, in particolare, i servizi al dettaglio di telefonia mobile, quelli di altri servizi di comunicazione elettronica collegati a Internet, nonché i servizi di radiodiffusione satellitare, che sono divenuti la modalità preferenziale di accesso ai media.

 

81.      In secondo luogo, i requisiti di proporzionalità potrebbero non essere compatibili con la quota molto ridotta di ricavi (10%) del SIC, fissata quale limite massimo per le imprese i cui ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche superino il 40% dei ricavi complessivi di tale settore.

 

82.      È vero, ripeto, che esiste un collegamento tra i due settori, data la crescente convergenza tra comunicazioni elettroniche, media audiovisivi e tecnologie dell’informazione (45). Ciò non significa, tuttavia, che le imprese attive nei servizi di comunicazione elettronica possiedano necessariamente la capacità intrinseca di influire sul settore dei mezzi di informazione o di comunicazione audiovisiva (46). Tali imprese controllano il trasporto e la trasmissione di contenuti, ma non sempre la loro produzione, che implica una responsabilità editoriale (47). Occorre quindi tenere distinte la disciplina dei mezzi di trasmissione, da un lato, e quella dei contenuti, dall’altro (48).

 

83.      Sulla stessa linea, la Corte ha dichiarato che le direttive che costituiscono il nuovo quadro normativo applicabile ai servizi di comunicazione elettronica stabiliscono una distinzione chiara tra la produzione dei contenuti, che implica un controllo editoriale, e la trasmissione dei contenuti, che esclude qualsiasi controllo editoriale, sicché i contenuti e la loro trasmissione sono soggetti a discipline distinte che perseguono obiettivi propri (49).

 

84.      Pertanto, il controllo delle comunicazioni elettroniche da parte di un operatore non comporta un identico controllo sui contenuti circolanti nelle sue infrastrutture, la cui responsabilità ricade sui media che li producono e ne sono editorialmente responsabili.

 

85.      Sulla base di tale premessa occorre esaminare il collegamento, stabilito in modo generale e astratto dalla normativa italiana, tra la detenzione di oltre il 40% del mercato delle comunicazioni elettroniche e il pericolo per il pluralismo dell’informazione. I suoi effetti potrebbero essere ritenuti sproporzionati, in quanto impediscono automaticamente a qualsiasi impresa (50), a prescindere dalle sue caratteristiche, che detenga tale quota di mercato nel primo settore di superare il 10% dei ricavi del secondo (vale a dire, del SIC).

 

86.      In terzo luogo, se pure, in linea di principio, nulla si potrebbe obiettare al testo dell’articolo 2359 del Codice civile relativo alle società collegate, non si deve dimenticare che esso introduce una mera presunzione: l’influenza notevole di una società su un’altra si presume quando la prima può esercitare un quinto dei diritti di voto della seconda o un decimo di tali diritti se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati.

 

87.      Sarebbe sproporzionato applicare tale presunzione, come se fosse insuperabile, per assimilare la situazione di una «società controllata» a quella di una «società collegata», al fine di applicare la restrizione alla libertà di stabilimento in esame, quando si possa affermare con certezza, come sembra accadere nel caso di specie, che la società (la Vivendi) che detiene una quota dei diritti di voto nell’altra (la Mediaset) superiore alle cifre sopra indicate non è, di fatto, in grado di esercitare un’influenza notevole su quest’ultima.

 

IV.    Conclusione

 

88.      Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco di rispondere nei seguenti termini alle questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Italia):

 

«La libertà di stabilimento tutelata dall’articolo 49 TFUE osta ad una misura nazionale che, al fine di preservare il pluralismo dell’informazione, vieta di acquisire una quota superiore al 10% dei ricavi del mercato dei media a qualsiasi impresa i cui ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche siano superiori al 40% dei ricavi complessivi di tale settore, se:

 

      per settore delle comunicazioni elettroniche si intende unicamente quello che comprende i mercati suscettibili di regolamentazione ex ante, e

 

      il divieto è imposto alle imprese collegate ad un’impresa principale sulle quali essa non è in grado di esercitare un’influenza notevole, circostanza il cui accertamento spetta al giudice del rinvio».

 

1      Lingua originale: lo spagnolo.

 

2      Oltre alla stampa e alle pubblicazioni elettroniche, il SIC comprende la radio e i servizi audiovisivi, il cinema, la pubblicità esterna, le iniziative di comunicazione di prodotti e servizi nonché le sponsorizzazioni.

 

3      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro) (GU 2002, L 108, pag. 33), modificata dalla direttiva 2009/140/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, recante modifica delle direttive 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, 2002/19/CE relativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all’interconnessione delle medesime e 2002/20/CE relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (GU 2009, L 337 pag. 37).

 

4      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 marzo 2010, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi) (GU 2010, L 95, pag. 1).

 

5      Decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici) (in prosieguo: il «TUSMAR»; GURI n. 208 del 7 settembre 2005).

 

6      Con comunicazione n. 0106341, del 13 settembre 2017, la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) ha dichiarato che, «a seguito dell’assemblea dei soci del 4 maggio 2017 con la quale la Vivendi ha nominato la maggioranza dei consiglieri di amministrazione di TIM – la medesima Vivendi esercita il controllo su TIM ai sensi degli artt. 2359, comma 1, n. 2, del codice civile e 93 TUF, nonché ai sensi del Regolamento Consob OPC».

 

7      Il 30 maggio 2017 la Commissione ha deciso di non opporsi alla concentrazione Vivendi/Telecom Italia e di dichiararla compatibile con il mercato interno (caso M.8465; GU 2017, C 220, pag. 53).

 

8      La Commissione ha confermato tale circostanza nella decisione del 30 maggio 2017 (punto 49): «Vivendi does not jointly or solely control Mediaset in light of the following factors: (i) another industrial shareholder (Fininvest) historically holds the largest share of Mediaset’s share capital (currently amounting to 39.53% of the ordinary share capital and of 41.09% of the voting share capital), has obtained the majority of the voting rights at least in the last 6 shareholders’ meetings and has appointed the majority of the board at least in the last two terms (in 2012 and 2015); (ii) Vivendi has not appointed any members of the board of directors, which will remain in office until the approval of the financial statements for year 2017; and (iii) Vivendi does not enjoy any specific information or other rights, which materially differ from those of any other minority shareholder; and (iv) at the present, Vivendi and Mediaset are engaged in an on-going litigation, following the breaking down of the negotiations for the acquisition of Mediaset Premium in 2016 which seems, thus, to exclude commonality of interests between Vivendi and Mediaset».

 

9      Delibera n. 178/17/CONS Accertamento della violazione dell’art. 43, comma 11, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177; testo disponibile sul sito dell’AGCom all’indirizzo https://www.agcom.it/documents/10179/7421815/Delibera+178-17-CONS/bb20ae9f-21eb-4d39-baf9-ee3fc9d8737a?version= 1.1.

 

10      Sentenze del 16 giugno 2015, Gauweiler e a. (C-62/14, EU:C:2015:400, punto 25); del 7 febbraio 2018, American Express (C-304/16, EU:C:2018:66, punto 32), e del 10 dicembre 2018, Wightman e a. (C-621/18, EU:C:2018:999, punto 27).

 

11      Come già spiegato, il giudice del rinvio non espone chiaramente i motivi per i quali dubita della compatibilità della legislazione italiana con le norme del TFUE relative alle diverse libertà del mercato interno.

 

12      V., in tal senso, sentenze del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation (C-35/11, EU:C:2012:707, punti 89 e 90); del 5 febbraio 2014, Hervis Sport- és Divatkereskedelmi (C-385/12, EU:C:2014:47, punto 21); del 10 aprile 2014, Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C-190/12, EU:C:2014:249, punto 25); del 24 novembre 2016, SECIL (C-464/14, EU:C:2016:896, punto 31), e del 6 marzo 2018, SEGRO e Horváth (C-52/16 e C-113/16, EU:C:2018:157, punto 53).

 

13      Sentenze del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation (C-35/11, EU:C:2012:707, punti 91 e 92), e del 24 novembre 2016, SECIL (C-464/14, EU:C:2016:896, punti 32 e 33).

 

14      La TIM, come già rilevato, è l’erede dell’estinto monopolio dello Stato italiano.

 

15      La giurisprudenza della Corte offre esempi di restrizioni riguardanti la libertà di stabilimento e la libertà di circolazione dei capitali, che vengono analizzate solo in relazione ad una di tali libertà a seconda del contesto delle controversie principali. V., inter alia, sentenze del 17 settembre 2009, Glaxo Wellcome (C-182/08, EU:C:2009:559, punto 51 e giurisprudenza citata), e del 6 marzo 2018, SEGRO e Horváth (C-52/16 e C-113/16, EU:C:2018:157, punto 55).

 

16      Ciò è quanto affermato dalla Mediaset nelle sue osservazioni (punto 10). Nel suo Rapport annuel – Document de référence 2016 (Relazione annuale – Documento di riferimento 2016), pag. 235 (disponibile all’indirizzo https://www.vivendi.com/wp-content/uploads/2017/03/20170314-VIV_Vivendi-Rapport-annuel-Document-de-reference-2016.pdf), la Vivendi ha riconosciuto che «(…) l’entrée au capital de Mediaset s’inscrit dans la volonté de Vivendi de se développer en Europe du Sud et dans le cadre de ses ambitions stratégiques en tant que groupe international majeur dans le domaine des médias et des contenus d’essence européenne».

 

17      Alle ANR sono conferite competenze di regolamentazione consistenti nel definire, in base ai principi del diritto della concorrenza, i mercati delle comunicazioni elettroniche che si trovano nel loro territorio (articolo 15, paragrafo 3, della direttiva quadro) e nell’individuare gli operatori che dispongono, individualmente o congiuntamente, di un significativo potere di mercato (articolo 14 della direttiva quadro).

 

18      V., in tal senso, ordinanze del 12 dicembre 2007, Vodafone España e Vodafone Group/Commissione (T-109/06, EU:T:2007:384, punti da 72 a 75), e del 9 luglio 2019, VodafoneZiggo Group/Commissione (T-660/18, EU:T:2019:546, punto 32).

 

19      V. sentenze del 15 settembre 2016, Koninklijke KPN e a. (C-28/15, EU:C:2016:692, punto 36), e del 3 dicembre 2009, Commissione/Germania (C-424/07, EU:C:2009:749, punto 61).

 

20      La Commissione presta assistenza alle ANR e tenta di garantire l’applicazione armonizzata del quadro normativo nell’intera Unione, in particolare pubblicando raccomandazioni e orientamenti ai sensi dell’articolo 15 della direttiva quadro, sui mercati rilevanti dei prodotti e dei servizi, nonché per l’analisi del mercato e la valutazione del significativo potere di mercato. Il ruolo di coordinamento della Commissione è posto in risalto anche nella procedura di consultazione europea di cui agli articoli 7 e 7 bis della direttiva quadro.

 

21      Sentenze del 4 luglio 2019, Baltic Media Alliance (C-622/17, EU:C:2019:566, punti 73 e 74); del 22 settembre 2011, Mesopotamia Broadcast e Roj TV (C-244/10 e C-245/10, EU:C:2011:607, punto 50), e del 9 luglio 1997, De Agostini e TV-Shop (da C-34/95 a C-36/95, EU:C:1997:344, punto 34). Le ultime due riguardano la direttiva 89/552/CEE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 ottobre 1989, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi) (GU 1989, L 298, pag. 23), che ha preceduto la direttiva 2010/13.

 

22      V., in particolare, sentenze dell’11 marzo 2010, Attanasio Group (C-384/08, EU:C:2010:133, punti 43 e 44); del 13 ottobre 2011, DHL International (C-148/10, EU:C:2011:654, punto 60), e del 10 maggio 2012, Duomo Gpa e a. (da C-357/10 a C-359/10, EU:C:2012:283, punto 35).

 

23      Delibera n. 178/17/CONS, citata alla nota 9, pagg. da 27 a 29.

 

24      Rinvio sul punto alle affermazioni contenute nella decisione della Commissione del 30 maggio 2017, trascritte alla nota 8.

 

25      Si verificherebbe inoltre il doppio computo dei ricavi dell’impresa collegata determinato dall’applicazione della normativa italiana: i ricavi della Mediaset sono presi in considerazione sia per il calcolo dei ricavi di tale impresa italiana, controllata dal gruppo Fininvest, sia per il calcolo della partecipazione della Vivendi, in qualità di azionista di minoranza della Mediaset.

 

26      Vale a dire, le imprese iscritte nel registro degli operatori di comunicazione, che dispongono di concessioni o autorizzazioni rilasciate dall’AGCom o da altre autorità competenti, così come le imprese concessionarie di pubblicità comunque trasmessa nonché le imprese editrici e similari.

 

27      Sentenze del 9 settembre 2010, Engelmann (C-64/08, EU:C:2010:506, punti 29 e 47); del 9 marzo 2006, Commissione/Spagna (C-323/03, EU:C:2006:159, punto 45), e del 4 giugno 2002, Commissione/Belgio (C-503/99, EU:C:2002:328, punto 45).

 

28      L’articolo 3 del TUSMAR menziona, tra i principi fondamentali del sistema dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, «la garanzia della libertà e del pluralismo dei mezzi di comunicazione radiotelevisiva». L’articolo 5, comma 1, lettera a), del TUSMAR precisa che il SIC deve conformarsi alla «tutela del pluralismo dei mezzi di comunicazione radiotelevisiva, vietando a tale fine la costituzione o il mantenimento di posizioni lesive del pluralismo (...), anche attraverso soggetti controllati o collegati (...)».

 

29      Per un commento delle analogie e delle rare differenze fra tali disposizioni, rinvio a Wachsmann, A., «Article 11. Liberté d’expression et d’information», in Picod, F. e Van Dooghenbroeck, S., (dir.), Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne, Bruylant, Bruxelles, 2018, pagg. da 255 a 271.

 

30      «La separazione della disciplina dei mezzi di trasmissione dalla disciplina dei contenuti non incide sul riconoscimento dei collegamenti fra i due aspetti, in particolare al fine di garantire il pluralismo dei mezzi di informazione, la diversità culturale e la protezione dei consumatori». Il corsivo è mio.

 

31      A tenore del considerando 5 della direttiva 2010/13, i servizi di comunicazione audiovisiva rivestono un’importanza «crescente (...) per le società, la democrazia – soprattutto a garanzia della libertà d’informazione, della diversità delle opinioni e del pluralismo dei mezzi di informazione –, l’istruzione e la cultura (…)». Il considerando 8 di detta direttiva sottolinea che «[è] essenziale che gli Stati membri vigilino affinché non si commettano atti pregiudizievoli per la libera circolazione e il commercio delle trasmissioni televisive o tali da favorire la formazione di posizioni dominanti comportanti limitazioni del pluralismo e della libertà dell’informazione televisiva nonché dell’informazione in genere». Il corsivo è mio.

 

32      La risoluzione del Parlamento europeo, del 3 maggio 2018, sul pluralismo e la libertà dei media nell’Unione europea [2017/2209(INI)], punto E, afferma quanto segue: «Considerando che la libertà, il pluralismo e l’indipendenza dei media sono elementi essenziali del diritto alla libertà di espressione; che i media svolgono un ruolo cruciale in una società democratica, in quanto fungono da organi di controllo pubblico e contribuiscono nel contempo all’informazione e alla responsabilizzazione dei cittadini (...)».

 

33      V. l’analisi globale svolta da Pisillo Mazzeschi, R., «Diritto al pluralismo informativo nei media audiovisivi e Convenzione europea dei diritti dell’uomo», in Pisillo Mazzeschi, R.; Del Vecchio, A.; Manetti, M.; Pustorino, P. (ed.), Il diritto al pluralismo dell’informazione in Europa e in Italia, Rai Eri, Roma, 2012, pagg. da 23 a 99.

 

34      Sentenze dell’8 luglio 1986, Lingens c. Austria, CE:ECHR:1986:0708JUD000981582, § 41; del 25 maggio 1998, Partido Socialista e a. c. Turchia, CE:ECHR:1998:0525JUD002123793, §§ 41, 45 e 47; del 17 settembre 2009, Manole e a. c. Moldova, CE:ECHR:2009:0917JUD001393602, §§ 95 e 96, e del 7 giugno 2012, Centro Europa 7 S.r.l. e di Stefano c. Italia, CE:ECHR:2012:0607JUD003843309, § 129.

 

35      Sentenza del 7 giugno 2012, Centro Europa 7 S.r.l. e di Stefano c. Italia, CE:ECHR:2012:0607JUD003843309, § 130.

 

36      Sentenza del 28 giugno 2001, VgT Verein gegen Tierfabriken c. Svizzera, CE:ECHR:2001:0628JUD002469994, §§ 73 e 75.

 

37      Sentenze del 24 novembre 1993, Informationsverein Lentia e a. c. Austria, CE:ECHR:1993:1124JUD001391488, § 39, e del 7 giugno 2012, Centro Europa 7 S.r.l. e di Stefano c. Italia, CE:ECHR:2012:0607JUD003843309, § 133.

 

38      V. l’analisi della giurisprudenza a cura di Barzanti, F., «La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in tema di pluralismo dell’informazione: acquisizioni e prospettive», in Pisillo Mazzeschi, R.; Del Vecchio, A.; Manetti, M.; Pustorino, P. (ed.), Il diritto al pluralismo dell’informazione in Europa e in Italia, Rai Eri, Roma, 2012, pagg. da 205 a 229; Cunha Rodrigues, J., «Le droit de l’Union et le pluralisme des médias», in La Cour de justice de l’Union européenne sous la présidence de Vassilios Skouris (2003-2015): liber amicorum Vassilios Skouris, 2015, pagg. da 187 a 201.

 

39      Sentenze del 13 dicembre 2007, United Pan-Europe Communications Belgium e a. (C-250/06, EU:C:2007:783, punto 42); del 25 luglio 1991, Collectieve Antennevoorziening Gouda (C-288/89, EU:C:1991:323), e del 3 febbraio 1993, Veronica Omroep Organisatie (C-148/91, EU:C:1993:45).

 

40      V., in tal senso, sentenze del 22 dicembre 2008, Kabel Deutschland Vertrieb und Service (C-336/07, EU:C:2008:765, punto 33); del 6 settembre 2011, Patriciello (C-163/10, EU:C:2011:543, punto 31), e del 22 gennaio 2013, Sky Österreich (C-283/11, EU:C:2013:28, punto 52). V. altresì conclusioni dell’avvocato generale Kokott del 30 marzo 2017, Persidera (C-112/16, EU:C:2017:250, paragrafo 1).

 

41      La fissazione di soglie quantitative per limitare il controllo del settore dei media da parte di una medesima impresa è prevista dalla raccomandazione CM/Rec(2018)1 del 7 marzo 2018 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa agli Stati membri sul pluralismo dei media e sulla trasparenza della proprietà dei media, paragrafi 3.4 e 3.5., https://rm.coe.int/CoERMPublicCommonSearchServices/DisplayDCTMContent?documentId= 0900001680790e36, nonché dalla raccomandazione CM/Rec(2007) 2, del 31 gennaio 2007, del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa sul pluralismo dei media e la diversità dei contenuti dei media, paragrafi 2.3 e 2.4, https://search.coe.int/cm/Pages/result_details.aspx?ObjectID= 09000016805d6bd7.

 

42      «(...) [A]nche se la salvaguardia del pluralismo, a titolo di una politica culturale, è connessa al diritto fondamentale alla libertà d’espressione e, pertanto, le autorità nazionali dispongono di un ampio potere discrezionale a tal riguardo, gli obblighi discendenti dai provvedimenti d’attuazione di questa politica non debbono in ogni caso essere sproporzionati rispetto a detto scopo e le relative modalità d’applicazione non debbono comportare discriminazioni a danno dei cittadini degli altri Stati membri. (…). In particolare, una disciplina del genere non può legittimare un comportamento discrezionale da parte delle autorità nazionali, tale da vanificare le disposizioni comunitarie relative ad una libertà fondamentale». V., in tal senso, sentenze del 28 novembre 1989, Groener (C-379/87, EU:C:1989:599, punto 19); del 20 febbraio 2001, Analir e a. (C-205/99, EU:C:2001:107, punto 37); del 22 gennaio 2002, Canal Satélite Digital (C-390/99, EU:C:2002:34, punto 35); del 12 giugno 2003, Schmidberger (C-112/00, EU:C:2003:333, punto 82), e del 13 dicembre 2007, United Pan-Europe Communications Belgium e a. (C-250/06, EU:C:2007:783, punti 44 e 45).

 

43      La raccomandazione 2014/710/UE della Commissione, del 9 ottobre 2014, relativa ai mercati rilevanti di prodotti e servizi del settore delle comunicazioni elettroniche che possono essere oggetto di una regolamentazione ex ante ai sensi della direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (GU 2014, L 295, pag. 79), indica, al considerando 2, che «l’obiettivo di qualsiasi intervento regolamentare ex ante è apportare vantaggi agli utenti finali rendendo i mercati al dettaglio effettivamente concorrenziali in modo sostenibile. È probabile che le autorità nazionali di regolamentazione arriveranno gradualmente a trovare competitivi i mercati al dettaglio anche in assenza di regolamentazione del mercato all’ingrosso, soprattutto se si tiene conto dei miglioramenti previsti in materia di innovazione e concorrenza». Essa individua pertanto quattro mercati del settore per i quali è necessario l’intervento delle ANR al fine di aumentare la concorrenza.

 

44      V. paragrafo 52.

 

45      V. considerando 5 della direttiva quadro.

 

46      Giuseppe Tesauro, Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, «Assetto del sistema radiotelevisivo e della società RAI – Radiotelevisione Italiana (AS 247)», 19 dicembre 2002, pag. 10, https://www.aeranticorallo.it/segnalazione-19-dicembre-2002-dellautorita-garante-della-concorrenza-e-del-mercato-qassetto-del-sistema-radiotelevisivo-e-della-societa-rai-radiotelevisione-italiana-as-247/?print=pdf, ha affermato quanto segue: «risulta priva di una valida giustificazione la previsione di un diverso e più stringente limite, pari al 10%, della raccolta delle risorse nel sistema integrato delle comunicazioni, in capo agli organismi i cui ricavi nel mercato dei servizi di telecomunicazioni siano superiori al 40% dei ricavi complessivi di tale ultimo mercato. In considerazione del fatto che tale norma prevede l’applicazione di limiti più rigidi ad un operatore in virtù della sua posizione competitiva in un mercato distinto e non strettamente connesso, detta previsione appare ultronea. Le attività di un operatore in posizione dominante nel settore delle telecomunicazioni sono e devono essere regolamentate con riferimento a quello specifico comparto».

 

47      L’articolo 2, lettera c), della direttiva quadro precisa che la nozione di «servizio di comunicazione elettronica» esclude, da un lato, i «servizi che forniscono contenuti trasmessi utilizzando reti e servizi di comunicazione elettronica o che esercitano un controllo editoriale su tali contenuti» e, dall’altro, «i servizi della società dell’informazione di cui all’articolo 1 della [direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione (GU 1998, L 204, pag. 37)] non consistenti interamente o prevalentemente nella trasmissione di segnali su reti di comunicazione elettronica».

 

48      Così enuncia, di nuovo, il considerando 5 della direttiva quadro.

 

49      Sentenze del 7 novembre 2013, UPC Nederland (C-518/11, EU:C:2013:709, punto 41); del 30 aprile 2014, UPC DTH (C-475/12, EU:C:2014:285, punto 36), e del 13 giugno 2019, Google (C-193/18, EU:C:2019:498, punti 31, 32 e 33).

 

50      Come si è già precisato, solo la TIM (e conseguentemente la Vivendi, in quanto azionista di controllo) supera il 40% del mercato delle comunicazioni elettroniche in Italia.

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