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TAR Lazio, sez. II bis, 24/7/2019 n. 9951
Sulla rimessione alla Corte di Giustizia dell'Ue di alcune questioni sulla nozione impianti di produzione di energia.

Sono rimesse alla Corte di giustizia UE le questioni: 1) se l'art. 3 lett. e) della direttiva della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 2003, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE del Consiglio, come modificata dalla direttiva 2009/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, debba essere interpretato nel senso da ricomprendere nella nozione di "impianto" anche una fattispecie come quella in esame, nella quale un cogeneratore costruito nel sito industriale per assicurare energia ad uno stabilimento produttivo sia stato successivamente ceduto, tramite cessione di ramo di azienda, ad altra società specializzata nel settore dell'energia, con un contratto che preveda, da un lato, il trasferimento alla cessionaria dell'impianto di cogenerazione di energia elettrica e calore, delle certificazioni, dei documenti, delle dichiarazioni di conformità, licenze, concessioni, autorizzazioni e permessi richiesti per l'esercizio dell'impianto stesso e per lo svolgimento dell'attività, la costituzione in suo favore di un diritto di superficie sull'area dello stabilimento adeguata e funzionale alla gestione e manutenzione dell'impianto e dei diritti di servitù a favore del manufatto ad uso cogeneratore, con circostante area esclusiva, e, dall'altro lato, la fornitura dalla cessionaria alla cedente per 12 anni dell'energia prodotta dall'impianto stesso, ai prezzi di cui al contratto;
2) se, in particolare, nella nozione di "collegamento tecnico" di cui al medesimo art. 3, lett. e), possa essere ricompreso un collegamento tra un cogeneratore ed uno stabilimento produttivo tale che quest'ultimo, appartenendo ad altro soggetto, pur godendo di un rapporto privilegiato con il cogeneratore ai fini della fornitura di energia (collegamento tramite rete di distribuzione di energia, specifico contratto di fornitura con la società energetica cessionaria dell'impianto, impegno di questa ad erogare un quantitativo minimo di energia allo stabilimento produttivo salvo il rimborso di un importo pari alla differenza tra i costi di approvvigionamento dell'energia sul mercato ed i prezzi previsti nel contratto, sconto sui prezzi di vendita dell'energia a partire dal decimo anno e sei mesi di decorrenza del contratto, concessione del diritto di opzione di riacquisto del cogeneratore in ogni momento da parte della società cedente, necessità dell'autorizzazione della cedente per lo svolgimento di lavori sull'impianto di cogenerazione) possa continuare a svolgere la propria attività anche nel caso di interruzione della somministrazione di energia o nel caso di malfunzionamento o cessazione dell'attività da parte del cogeneratore;
3) se, infine, nel caso di cessione effettiva di un impianto di produzione di energia da parte del soggetto costruttore, titolare nello stesso sito di uno stabilimento industriale, a diversa società specializzata nel campo energetico, per ragioni di efficientamento, la possibilità di scorporo delle relative emissioni dalla autorizzazione ETS del titolare dello stabilimento industriale, a seguito della cessione e l'eventuale effetto di "fuoriuscita" delle emissioni dal sistema ETS determinato dal mancato superamento da parte dell'impianto di produzione di energia, considerato da solo, della soglia di qualificazione dei "piccoli emettitori" rappresentino una violazione della regola dell'aggregazione delle fonti di cui all'allegato I della direttiva 2003/87/CE o, al contrario, una semplice e lecita conseguenza delle scelte organizzative degli operatori, non vietata dal sistema ETS.


Materia: gas / disciplina
Pubblicato il 24/07/2019

N. 09951/2019 REG.PROV.COLL.

N. 10006/2018 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 10006 del 2018, proposto da


Granarolo S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Alessandra Stalteri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;


contro

Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e Ministero dello Sviluppo Economico, ciascuno in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comitato Nazionale per la Gestione della Direttiva 2003/87/Ce e per il Supporto nella Gestione delle Attività di Progetto del Protocollo di Kyoto

nei confronti

E.On Connecting Energies Italia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Claudio Vivani, Francesca Triveri e Giovanni Corbyons, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone 44;

per l'annullamento

previa sospensione,

del provvedimento prot. n. 0007368 del 6 giugno 2018 del Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE e per il supporto delle attività di progetto del Protocollo di Kyoto, recante il rigetto dell'istanza di aggiornamento del Piano di Monitoraggio e dell’istanza di rideterminazione connessa, di cui all'autorizzazione ETS n. 1703 rilasciata a Granarolo S.p.a. sito di Pasturago di Vernate, e di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, del Ministero dello Sviluppo Economico e della E.On Connecting Energies Italia S.r.l.;

Visto l'art. 79, co. 1, cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 marzo 2019 la dott.ssa Ofelia Fratamico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


L’oggetto del procedimento principale e i fatti pertinenti

Con il ricorso in epigrafe la Granarolo s.p.a. ha chiesto al Tribunale di annullare, previa sospensione dell’efficacia, il provvedimento prot. n. 0007368 del 6.06.2018 del Comitato Nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE e per il supporto delle attività di progetto del Protocollo di Kyoto di rigetto della sua istanza di aggiornamento del Piano di Monitoraggio e di rideterminazione delle emissioni consentite di cui all’autorizzazione ETS n. 1703 ad essa rilasciata per il sito di Pasturago di Vernate e ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente.

La Granarolo s.p.a, società operante nel settore alimentare del latte fresco e nella produzione e distribuzione dei prodotti lattiero-caseari attraverso siti produttivi dislocati su tutto il territorio nazionale, ha dedotto: a) di possedere a Pasturago di Vernate uno stabilimento produttivo - composto da vari reparti destinati al ricevimento e al trattamento del latte fresco, al trattamento dello yogurt e della frutta e al confezionamento dei prodotti finiti - dotato di una centrale termica di produzione del calore necessario ai suoi processi di lavorazione, nonché dei relativi strumenti di misura del combustibile impiegato (gas naturale); b) di essere titolare per tale sito produttivo dell’autorizzazione ad emettere gas serra (autorizzazione ETS n. 1703) esercitando “Combustione di carburanti di impianti di potenza termica nominale totale superiore a 20 MW” che - ai sensi dell’All. I del d.lgs. n. 30/2013 di attuazione della direttiva 2003/87/CE - è ricompresa tra le attività soggette all’autorizzazione e alle misure di controllo delle emissioni di gas serra e di essere soggetta, per tale stabilimento, al regime dei “piccoli emettitori” ai fini del monitoraggio e controllo delle emissioni di CO2 in virtù dell’art. 38 dello stesso d.lgs. n. 30/2013; c) di aver realizzato presso il medesimo sito di Pasturago di Vernate nel 2013 anche un impianto di cogenerazione di energia elettrica e calore destinati alla produzione alimentare, ottenendo dal Comitato ETS l’aggiornamento della sua autorizzazione ETS alle emissioni; d) di aver successivamente deciso di concentrarsi sul proprio core business (il settore alimentare) cedendo l’asset relativo all’attività di produzione di energia elettrica tramite impianti di cogenerazione (tra cui l’impianto di Pasturago di Vernate) ad una società specializzata, E.ON. Connecting Energies Italia s.r.l.; e) di avere, perciò, sottoscritto con tale società, in data 27.07.2017, un contratto di cessione del ramo di azienda relativo all’esercizio del cogeneratore di Pasturago di Vernate, provvedendo a tutte le comunicazioni necessarie ed alla volturazione in favore della cessionaria dei titoli autorizzativi all’esercizio dell’impianto; f) di aver avanzato, proprio in seguito alla cessione dell’impianto di cogenerazione di Pasturago di Vernate, anche la richiesta di modifica della sua autorizzazione ETS n. 1703 e di rideterminazione delle emissioni consentite allo scopo di eliminare la fonte emissiva “cogeneratore” dal computo delle sue emissioni di CO2, visto che tale fonte non era più di sua gestione né sotto il suo controllo; g) di aver ricevuto inaspettatamente dal Comitato ETS, dopo semplici richieste di integrazioni formali alla documentazione presentata e, in particolare, di copia del contratto di fornitura di energia stipulato con E.ON Connecting Energies Italia s.r.l., il rigetto della sua istanza di aggiornamento del Piano di Monitoraggio e di rideterminazione delle emissioni consentite sul presupposto che il collegamento tecnico esistente tra l’unità di cogenerazione (pur ceduta a E.ON) ed il suo stabilimento produttivo di Pasturago di Vernate configurasse comunque una interconnessione funzionale tra i due impianti tale da precludere lo scorporo del cogeneratore dalla sua autorizzazione ETS.

Alla luce dei suddetti fatti la ricorrente ha lamentato di essere ingiustamente rimasta, per effetto di tale illegittimo diniego, destinataria degli obblighi di monitoraggio delle emissioni di CO2 del cogeneratore di Pasturago nonostante la avvenuta cessione ad altra società, specializzata nel settore dell’energia, del relativo ramo di azienda, la perdita di tutti i poteri gestori e di esercizio di tale impianto di cogenerazione e la corrispondente attribuzione ad E.ON di ogni diritto di acquisire i proventi della vendita in rete dell’energia prodotta in eccesso rispetto a quella fornitale per contratto per il funzionamento del suo stabilimento produttivo.

Contro l’atto impugnato, la ricorrente ha, quindi, dedotto i seguenti motivi di ricorso: 1) violazione di legge: violazione e falsa applicazione dell’art. 3 lett. e ed f e degli artt. 6 e 7 della direttiva 2003/87/CE come mod. dalla direttiva 2009/29/CE, dell’art. 3 comma 1 lett. t e v e degli artt. 15 e 16 del d.lgs. n. 30/2013 e degli artt. 4 e 5 della delibera n. 16/2013 del Comitato per la gestione della direttiva 2003/87/CE recante la “Disciplina degli impianti di dimensioni ridotte esclusi dal sistema comunitario per lo scambio delle quote di emissione di gas ad effetto serra ai sensi dell’art. 38 del d.lgs. n. 30/2013”, violazione del principio di libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 della Costituzione, violazione dell’art. 3 della l.n. 241/1990 per carenza, incoerenza e irragionevolezza della motivazione, eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei presupposti, difetto di istruttoria, contraddittorietà e manifesta ingiustizia; 2) violazione di legge: violazione e falsa applicazione dell’art. 3 lett. e ed f e dell’art. 6 della direttiva 2003/87/CE come mod. dalla direttiva 2009/29/CE, violazione dell’Allegato I e dell’art. 3 comma 1 lett.v del d.lgs. n. 30/2013, delle linee guida della Commissione Europea del 18.marzo 2010 (Guidance on interpretation of Annex I of the EU ETS Directive (excl. Aviation activities), delle linee guida n. 6 Flussi termici tra impianti del 14 aprile 2011 e dell’art. 3 della l.n. 241/1990 per carenza incoerenza e irragionevolezza della motivazione, eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei presupposti; 3) eccesso di potere derivante da contraddittorietà, lesione del legittimo affidamento, sviamento, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta; 4) violazione di legge per violazione degli artt. 3 e 10 bis della l.n. 241/1990, illegittimità del provvedimento di diniego per omesso preavviso di rigetto ai sensi dell’art.10 bis della l.n. 241/1990.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato.

Si è costituita in giudizio anche la E.ON deducendo la fondatezza del ricorso ed insistendo per l’accoglimento dello stesso.

Alla camera di consiglio del 9.10.2018 la ricorrente ha rinunciato all’istanza cautelare, chiedendo che ogni questione fosse decisa congiuntamente al merito.

All’udienza pubblica del 13.03.2019 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.


La normativa di riferimento

Il sistema di scambio di quote di emissione dell’UE (European Union Emissions Trading Scheme - UE ETS) è una delle pietre angolari su cui si fonda la politica dell'UE per contrastare i cambiamenti climatici e uno strumento essenziale per ridurre in maniera economicamente efficiente le emissioni di gas a effetto serra. È il primo mercato mondiale della CO2 e continua a essere il più esteso.

Tale sistema, attivo in 31 Paesi (i 28 dell'UE, più l'Islanda, il Liechtenstein e la Norvegia) coinvolge le emissioni prodotte da oltre 11.000 impianti ad alto consumo di energia (centrali energetiche e impianti industriali) e dalle compagnie aeree che collegano tali Paesi e circa il 45% delle emissioni di gas a effetto serra dell'UE ed opera secondo il principio della limitazione e dello scambio delle emissioni.

Viene fissato un tetto alla quantità totale di alcuni gas serra che possono essere emessi dagli impianti che rientrano nel sistema e questo tetto si riduce nel tempo di modo che le emissioni totali diminuiscano.

Entro questo limite, le imprese ricevono o acquistano quote di emissione che, se necessario, possono scambiare. Le imprese possono anche acquistare quantità limitate di crediti internazionali da progetti di riduzione delle emissioni di tutto il mondo. La limitazione del numero totale garantisce che le quote disponibili abbiano un valore.

Alla fine di ogni anno le società devono restituire un numero di quote sufficiente a coprire le loro emissioni se non vogliono subire pesanti multe. Se un’impresa riduce le proprie emissioni, può mantenere le quote inutilizzate per coprire il fabbisogno futuro, oppure venderle a un’altra impresa che ne sia a corto.

Lo scambio crea flessibilità e garantisce che le riduzioni delle emissioni avvengano quando sono più convenienti. Un solido prezzo della CO2 favorisce inoltre gli investimenti in tecnologie pulite e a basso rilascio di CO2.

La Direttiva 2003/87/CE (Direttiva ETS – successivamente modificata dalla direttiva 2009/29/CE e, da ultimo, dalla direttiva 2018/410/UE), che è la base del sistema ETS prevede, quindi, che dal 1° gennaio 2005 gli impianti grandi emettitori dell’Unione Europa non possano funzionare senza un’autorizzazione alle emissioni di gas serra. Ogni impianto autorizzato deve compensare annualmente le proprie emissioni con quote (European Union Allowances – EUA, equivalenti a 1 tonnellata di CO2eq) che possono, come detto, essere comprate e vendute dai singoli operatori interessati. Gli impianti possono acquistare le quote nell’ambito di aste pubbliche europee o riceverne a titolo gratuito. In alternativa, possono approvvigionarsene sul mercato.

La Direttiva ETS stabilisce che dal 2013 gli impianti di produzione di energia elettrica e gli impianti che svolgono attività di cattura, trasporto e stoccaggio del carbonio (CCS) devono approvvigionarsi all’asta di quote per l’intero del proprio fabbisogno (assegnazione a titolo oneroso). Al contrario, gli impianti afferenti i settori manifatturieri hanno diritto all'assegnazione a titolo gratuito, sulla base del loro livello di attività e di standard di riferimento (benchmark) elaborati dalla Commissione europea e validi a livello europeo.

I settori ad elevato rischio di carbon leakage, ossia esposti al rischio delocalizzazione a causa dei costi del carbonio verso paesi con politiche ambientali meno rigorose, beneficiano di un assegnazione di quote a titolo gratuito pari al 100% del proprio benchmark di riferimento.

L’articolo 10 bis, paragrafo 6, della direttiva ETS prevede che gli Stati membri possano adottare “misure finanziarie a favore di settori o sottosettori considerati esposti a un rischio elevato di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio a causa dei costi connessi alle emissioni di gas a effetto serra trasferiti sui prezzi dell’energia elettrica, al fine di compensare tali costi e ove tali misure finanziarie siano conformi alle norme sugli aiuti di Stato applicabili e da adottare in tale ambito”. Tali norme sono pubblicate sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea n. 158 del 5 giugno 2012.

In Italia, col decreto legislativo n. 216/2006 e successivamente col decreto legislativo n. 30/2013 il Comitato Nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE e per la gestione delle attività di progetto del Protocollo di Kyoto (Comitato ETS) è stato individuato come l’Autorità nazionale competente per l’attuazione dell’ETS.

Il Comitato ETS è un organo interministeriale presieduto dal Ministero dell’Ambiente e partecipato dai Ministeri dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture.

Il sistema ETS UE ha dimostrato che fissare un prezzo per la CO2 e scambiarla può funzionare: le emissioni degli impianti che partecipano al sistema stanno diminuendo come auspicato, di poco più del 5% rispetto all'inizio della fase 3 (2013-2020)

Nel 2020 le emissioni dei settori disciplinati dal sistema saranno inferiori del 21% rispetto al 2005.

Il sistema riguarda i seguenti settori e gas e presta particolare attenzione alle emissioni delle quali è possibile effettuare misurazioni, relazioni e verifiche con un elevato grado di precisione:

• anidride carbonica (CO2) derivante da

â—¦produzione di energia elettrica e di calore

â—¦settori industriali ad alta intensità energetica, comprese raffinerie di petrolio, acciaierie e produzione di ferro, metalli, alluminio, cemento, calce, vetro, ceramica, pasta di legno, carta, cartone, acidi e prodotti chimici organici su larga scala

â—¦aviazione civile

•ossido di azoto (N2O) derivante dalla produzione di acido nitrico, adipico e gliossilico e gliossale

•perfluorocarburi (PFC) derivanti dalla produzione di alluminio.

La partecipazione all'ETS UE è obbligatoria per le imprese che operano in questi settori, ma:

•in alcuni settori sono inclusi soltanto gli impianti al di sopra di una certa dimensione;

•alcuni impianti di dimensioni ridotte possono essere esclusi qualora le amministrazioni mettano in atto misure fiscali o di altro genere che ne riducano le emissioni di un quantitativo equivalente;

•nel settore dell’aviazione, fino al 31 dicembre 2023 il sistema ETS UE si applica unicamente ai voli tra aeroporti situati nello Spazio economico europeo (SEE).

Il sistema ETS UE è attualmente nella sua terza fase, che è significativamente diversa dalle fasi 1 e 2; i principali cambiamenti rispetto dalle due fasi precedenti sono i seguenti:

•alle emissioni si applica un unico tetto per tutta l'UE anziché tetti nazionali come in precedenza;

•la vendita all'asta è il metodo comune di assegnazione delle quote (anziché l'assegnazione a titolo gratuito), mentre alle quote ancora assegnate gratuitamente si applicano norme armonizzate;

•è contemplato un maggior numero di settori e di gas;

•grazie al programma NER 300, sono state accantonate nella riserva per i nuovi entranti 300 milioni di quote per finanziare la diffusione di tecnologie innovative per le energie rinnovabili e la cattura e l'immagazzinamento della CO2.

Gli Stati membri, come anticipato, possono escludere dal Sistema per lo scambio di quote emissione di gas a effetto serra dell’UE (EU ETS) gli impianti di dimensioni ridotte (“piccoli emettitori”) con emissioni inferiori a 25 mila tonnellate CO2 equivalenti l'anno.

L’Italia ha usufruito di questa possibilità e, con la delibera n. 16/2013 del Comitato ETS, ha istituito un Sistema nazionale dei piccoli emettitori. Tale sistema nazionale prevede regole più semplici per i piccoli emettitori in confronto al normale sistema ETS. Una di queste regole prevede l'istituzione del Registro Nazionale Piccoli Emettitori (RENAPE) in cui sono annotate le emissioni consentite e quelle effettive, oltre agli altri dati salienti degli impianti “Piccoli Emettitori”. L’iscrizione dei dati nel RENAPE avviene d’ufficio, a cura del Comitato ETS.

I piccoli emettitori in attività nel corso del 2016 sono stati 131, mentre originariamente erano 166. Ciò a causa di chiusure o sospensioni dell’attività emissiva, dovuta al calo dell’attività produttiva. Complessivamente, nell’anno 2015 gli impianti “Piccoli Emettitori” hanno emesso poco meno di 1,2 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, una cifra nettamente inferiore rispetto ai quasi 2 milioni di emissioni consentite per quell’anno dalla Commissione Europea.

Le principali regole riguardanti i Piccoli Emettitori sono:

•obbligo di comunicazione delle emissioni entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello di riferimento;

•obbligo di versamento all'erario, o di restituzione quote EUA, in caso di superamento delle emissioni consentite;

•obbligo di comunicazione degli ampliamenti di impianto per ridefinire le emissioni consentite;

•obbligo di segnalazione della sospensione di attività nel caso sia prevista per più di dieci mesi consecutivi.

Nel Registro nazionale RENAPE (Registro Nazionale Piccoli Emettitori) sono elencati tutti i Piccoli Emettitori esclusi da ETS, lo stato dell’impianto (attivo, chiuso, in sospensione di attività), le emissioni consentite e quelle effettive.

Il registro, tenuto dal Comitato ETS, viene aggiornato semestralmente.


L’oggetto della controversia

La Granarolo s.p.a., dopo aver ceduto ad E.ON. Connecting Energies Italia s.r.l. il cogeneratore di Pasturago di Vernate, che essa aveva costruito per fornire energia elettrica e calore al suo stabilimento produttivo, operante nel medesimo sito, avendo visto respinta la sua richiesta di scorporo di tale impianto dalla sua autorizzazione ETS e dal computo delle sue emissioni di CO2, ha lamentato, in primo luogo, l’erroneità del diniego oppostole dal Comitato ETS, la cui motivazione (persistenza tra il cogeneratore e lo stabilimento produttivo di un’interconnessione funzionale ostativa allo scorporo) sarebbe risultata “destituita di ogni fondamento giuridico, essendo in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento e con le disposizioni della normativa comunitaria e nazionale in materia di autorizzazioni ETS, in base alle quali la posizione giuridica che legittima il rilascio (e il mantenimento) dell’autorizzazione ETS per un determinato impianto è costituita dalla qualificazione di <<gestore>> del soggetto richiedente, secondo la definizione di cui all’art. 3 co 1 lett. t) del d.lgs. n. 30/2013 e dall’effettiva sussistenza dei poteri di amministrazione e controllo sull’impianto stesso”.

Dagli artt. 6 e 3 della direttiva e dagli artt. 3 e 15 del d.lgs. n. 30/2013 emergerebbe chiaramente che “l’autorizzazione ETS è rilasciata all’operatore che detiene il potere gestorio sull’impianto e che, quindi, può esercitare poteri di controllo e monitoraggio delle emissioni e non può ricomprendere impianti rispetto ai quali l’operatore economico non può esercitare, essendone sprovvisto, poteri economici e di amministrazione”.

Secondo la ricorrente sarebbe, dunque, contraria ai principi dell’ordinamento, nonché all’effettività dei rapporti tra le parti, l’interpretazione della vicenda fornita dal Comitato ETS, secondo cui il contratto di fornitura di servizi energetici con E.ON Connecting Energies sarebbe stato di per sé sufficiente a conservare in capo alla Granarolo, pur dopo la cessione del ramo di azienda comprendente l’impianto di cogenerazione, un potere gestorio e di controllo delle emissioni del cogeneratore.

La E.ON Connecting Energies, infatti, attraverso l’attività del cogeneratore acquistato, oltre a somministrare a Granarolo energia per le utenze della produzione alimentare, così come previsto dal contratto di fornitura di servizi energetici intercorso tra le due società, può svolgere autonomamente l’attività di produzione di energia e procedere all’immissione in rete di energia elettrica, conseguendone i relativi ricavi, in modo tale che se anche la Granarolo dovesse prelevare una minore quantità di energia dal cogeneratore, questo non inciderebbe sul quantitativo di emissioni dello stesso, potendo la E.ON immettere in rete tutta l’energia prodotta.

Il diniego di scorporo del cogeneratore dall’autorizzazione ETS della Granarolo sarebbe stato, poi, emesso in violazione dei principi di integrazione e coordinamento delle procedure di tutela ambientale, determinando una irragionevole duplicazione dei centri di imputazione delle responsabilità connesse alle norme di protezione ambientale rispetto ad un unico impianto, nonché in contrasto con le previsioni comunitarie e nazionali (art. 7 della direttiva 2003/87/CE e art. 16 del d.lgs. n. 30/2013) che, ricollegando il rilascio dell’autorizzazione ETS alla sussistenza in capo all’operatore richiedente di poteri gestori sull’impianto, impongono l’aggiornamento del piano di monitoraggio in caso di modifiche all’identità del gestore e alla natura e al funzionamento dell’impianto.

Secondo la Granarolo s.p.a. il Comitato ETS avrebbe, inoltre, errato nel qualificare come un unico impianto tutto l’insediamento produttivo di Pasturago di Vernate (stabilimento industriale della Granarolo e cogeneratore ceduto ad E.ON), considerando “interconnessione funzionale… quello che, in realtà, è un mero collegamento tecnico tra i due impianti, strumentale all’esecuzione della fornitura di servizi energetici”.

“L’interconnessione funzionale - che presupporrebbe che i due impianti non (potessero)… operare l’uno in assenza dell’altro – non ricorrerebbe, invece, nel caso di specie, “tenuto conto che l’unità di cogenerazione di ECT e lo stabilimento produttivo di Granarolo sono strutturalmente e funzionalmente autonomi e sono attualmente tecnicamente collegati solo ai fini della fornitura dei servizi energetici previsti nel contratto in essere”.

L’interpretazione alla base del provvedimento di rigetto dell’istanza di aggiornamento dell’autorizzazione ETS costituirebbe anche una falsa applicazione della regola di aggregazione delle fonti emissive che, come chiarito nelle Linee Guida del 18.03.2010 ed in quelle del 14.04.2011, predisposte dalla Commissione Europea, impone di “trattare equamente gli impianti di eguale capacità anche se l’uno svolge la sua attività tramite tante piccole unità di produzione e l’altro, invece, tramite una sola grande unità”: tale regola presuppone, infatti, l’esistenza di più unità tecniche all’interno di un medesimo impianto e non la presenza di distinti impianti, come verificatosi, invece, nel caso di specie, in seguito alla cessione da Granarolo ad E.ON della proprietà del cogeneratore.

L’illegittimità, l’erroneità e la contraddittorietà dell’operato del Comitato ETS nell’ipotesi de qua emergerebbero, poi, con maggiore evidenza dal confronto con quanto disposto dalla medesima Amministrazione nei confronti della stessa Granarolo in occasione della dismissione di un altro cogeneratore, sito nello stabilimento produttivo di Usmate Velate. In questo caso il Comitato ETS, in seguito alle modifiche apportate dalla Granarolo all’impianto produttivo ed alla cessione dell’impianto di cogenerazione ad altro soggetto, pur in presenza di un analogo contratto di somministrazione di energia elettrica tra cessionario e cedente, aveva accolto la domanda della Granarolo di modifica dell’autorizzazione ETS e del piano di monitoraggio delle emissioni, prendendo atto dell’esistenza di impianti diversi, gestiti da gestori diversi, nel medesimo sito.

La Granarolo s.p.a. ha, infine, evidenziato che tutte le circostanze suddette avrebbero potuto essere utilmente rappresentate da essa al Comitato a seguito della ricezione del preavviso di rigetto, in realtà mai inviatole dall’Amministrazione in violazione dell’art. 10 bis della l.n. 241/1990, con conseguente lesione dei suoi diritti di partecipazione al procedimento.

Costituendosi in giudizio l’Amministrazione ha escluso la condivisibilità della “posizione interpretativa assunta … (dalla ricorrente) con riferimento ai seguenti aspetti: a) la nozione di <<impianto>> di cui all’art. 3 comma 1 lettera v del d.lgs. n. 30/2013, b) la riferibilità dell’autorizzazione di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 30/2013 all’impianto e non al gestore, c) il principio di aggregazione delle fonti emissive, in coerenza con la ratio generalizzata di riduzione progressiva del quantitativo complessivo delle emissioni di CO2”.

Evidenziando di avere rigettato, con la nota prot.n. 7368 del 6.06.2018, l’istanza di aggiornamento del piano di monitoraggio poiché “il perimetro dell’impianto – che rileva al fine dell’aggiornamento dell’autorizzazione - comprende le unità tecniche deputate allo svolgimento delle attività tipizzate nell’allegato I della direttiva” e poiché la cessione del ramo d’azienda non aveva inciso sulla configurazione impiantistica, l’Amministrazione ha affermato di essersi limitata ad applicare l’art. 13 del d.lgs. n. 30/2013 che, recependo l’art. 4 della direttiva 2003/87/CE, stabilisce che “Nessun impianto può esercitare le attività elencate nell’allegato I che comportino emissioni di gas ad effetto serra specificati nel medesimo allegato in relazione a tali attività, a meno che il relativo gestore non sia munito dell’autorizzazione … rilasciata dal Comitato ai sensi dell’art. 15”.

L’Amministrazione ha, in particolare, sottolineato il legame inscindibile stabilito dalla normativa di settore tra l’autorizzazione e l’esistenza di un “impianto” definito come “un’unità tecnica permanente in cui sono svolte una o più attività elencate nell’allegato I e altre attività direttamente associate che hanno un collegamento tecnico con le attività svolte nel medesimo sito e che potrebbero incidere sulle emissioni e sull’inquinamento” (art. 3 c. 1 d.lgs. n. 30/2013 e art. 3 par 1 lett. e della direttiva 2003/87/CE).

La definizione di impianto, secondo la ricostruzione dell’Amministrazione, sarebbe “logicamente presupposta rispetto a quella di gestore”, rendendo, così, irrilevante (ai fini della modifica dell’autorizzazione richiesta dalla ricorrente) anche l’eventuale discrasia tra il titolare dell’autorizzazione e l’effettivo gestore di un’unità tecnica interna allo stabilimento produttivo (differenza soggettiva posta, invece, dalla Granarolo alla base della sua istanza di aggiornamento in riduzione dell’autorizzazione ETS).

Il Comitato Nazionale ha, dunque, fondato il proprio diniego sulla tesi per cui “un cogeneratore, quand’anche collocato esternamente al sito produttivo, qualora sia collegato tecnicamente all’unità tecnica di produzione e … idoneo a incidere sulle emissioni complessive, è da considerarsi parte di un unico impianto” e, perciò, soggetto anche ad “unicità dell’autorizzazione”.

Eccependo l’infondatezza anche delle argomentazioni svolte dalla ricorrente circa la perdita da parte sua della qualifica di “gestore” del cogeneratore, l’Amministrazione ha ribadito la permanenza in capo alla Granarolo del “potere economico determinante sull’esercizio tecnico” di tale impianto, in base al contenuto del contratto stipulato con E.ON ed alle clausole ivi previste in relazione a) alla necessità del consenso della Granarolo per l’effettuazione di opere edilizie sul cogeneratore, b) alla previsione di un rimborso in suo favore nel caso di mancato rispetto della fornitura dei quantitativi minimi di energia previsti, c) allo sconto sui prezzi dell’energia da riconoscere alla ricorrente a partire dal 10 anno e sei mesi di decorrenza del contratto, d) alla concessione, sempre in favore della Granarolo, del diritto di opzione di riacquisto del cogeneratore.

Tali clausole, secondo l’Amministrazione, collocherebbero la ricorrente in una indubbia “posizione di forza” rispetto ad E.ON con riguardo all’impianto di Pasturago di Vernate, cosicchè qualsiasi diversa interpretazione della fattispecie nel senso di ammettere il verificarsi di una “scissione” dell’originario impianto in due impianti minori (stabilimento produttivo restato alla Granarolo e cogeneratore ceduto ad E.ON) determinerebbe “un effetto elusivo della disciplina in materia di emissioni di CO2”.

Il cogeneratore, avendo da solo una potenza inferiore ai 20 mW, non avrebbe bisogno di autorizzazione ai sensi dell’art.13 del d.lgs. n.30/2013, “rimanendo estraneo fin dal principio al campo di applicazione della disciplina ETS; di contro, l’impianto produttivo della Granarolo, dotato di autorizzazione n. 1703,”vedrebbe ridotta la quantità di emissioni annualmente prodotte e dunque oggetto di compensazione mediante quote di emissioni”.

In tal modo, “l’esito complessivo di tale operazione (secondo l’Amministrazione) sarebbe che una determinata quantità di emissioni di CO2 (quelle prodotte dal cogeneratore) finirebbe per fuoriuscire dal sistema dell’Emission trading, non concorrerebbe al raggiungimento del cap di emissioni consentite a livello nazionale e non sarebbe compensata mediante l’acquisto di quote di CO2. In altre parole si tratterebbe di emissioni di CO2 liberamente consentite”.

Con il diniego impugnato la Commissione Nazionale ritiene, al contrario di quanto dedotto dalla ricorrente, di aver fatto, inoltre, corretta applicazione della regola dell’aggregazione delle fonti emissive, dettata dalla normativa di settore proprio per evitare che una eccessiva parcellizzazione delle fonti emissive potesse portare all’esclusione dall’ambito di applicazione dell’emission trading della maggior parte degli impianti di medio-piccole dimensioni, evvero di quelli privi di fonti emissive da sole superiori ai 20 MW di potenza termica.

Il diniego di scorporo dall’autorizzazione n. 1703 del cogeneratore di Pasturagodi Vernate non sarebbe, poi, neppure in contraddizione con l’avvenuta approvazione del piano di monitoraggio di un altro impianto della medesima ricorrente (stabilimento di Usmate Velate) in cui la Granarolo, diversamente da quanto avvenuto nel caso de quo, avrebbe stipulato con E.ON un contratto di fornitura di calore e corrente elettrica prodotti da “un nuovo e diverso cogeneratore, di proprietà della stessa EON”.

Quanto, infine, alla lamentata mancata trasmissione del preavviso di rigetto prima dell’adozione del provvedimento impugnato, l’Amministrazione ha sostenuto la superfluità di tale adempimento nella fattispecie in questione, da un lato per l’avvenuta instaurazione, in ogni caso, nel corso del procedimento, di un contraddittorio con l’interessata – che aveva così avuto la possibilità di trasmettere alla Commissione ogni elemento utile alla decisione - dall’altro lato, per il carattere comunque vincolato del provvedimento sulla richiesta di aggiornamento rispetto alla quale non residuava all’Amministrazione alcun margine di discrezionalità.

Costituendosi in giudizio la E.ON Connecting Energies s.r.l., società specializzata nel settore dei servizi integrati volti ad incrementare l’efficienza energetica degli impianti e a conseguire benefici energetici ed ambientali, ha precisato di essersi impegnata, come cessionaria del cogeneratore di Pasturago di Vernate, in base al contratto di fornitura di servizi energetici, ad erogare in favore di Granarolo solo quantitativi minimi di energia, espressamente indicati nel contratto stesso e non tutta l’energia prodotta dall’impianto, potendo sempre immettere la restante parte dell’energia prodotta sul mercato, percependone direttamente da quest’ultimo i corrispettivi.

La E.ON. ha, poi, affermato di poter scegliere anche di non fornire l’energia prodotta dal cogeneratore di Pasturago allo stabilimento produttivo della Granarolo, immettendola tutta in rete, dovendo in tale ipotesi semplicemente rimborsare alla ricorrente un corrispettivo pari alla differenza tra i costi di approvvigionamento dell’energia sul mercato e quelli determinati ai sensi del contratto.

Alla luce di tali circostanze la E.ON., definendosi “cointeressata” nel giudizio, si è associata alle richieste della Granarolo di accoglimento del ricorso, esponendo di avere tutto l’interesse a che i suoi partner commerciali che, privi del know- how ormai indispensabile nel settore, avessero deciso di cederle impianti di produzione di energia per assicurarne una corretta gestione e manutenzione, avessero la possibilità di scorporare le emissioni degli impianti ceduti da quelle dei propri stabilimenti industriali, beneficiando dell’esclusione per le relative emissioni dalla disciplina in materia di ETS.


Le questioni pregiudiziali

Così esposte le principali problematiche poste dalla presente controversia e le posizioni assunte su ciascun motivo di ricorso dalle parti, vertendosi in tema di interpretazione del diritto comunitario, si ritiene, per la rilevanza degli interessi coinvolti e per la complessità dei valori in gioco, di sottoporre al Giudice comunitario i seguenti quesiti:

1) Se l’art. 3 lett. e) della direttiva della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 2003, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE del Consiglio, come modificata dalla direttiva 2009/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, debba essere interpretato nel senso da ricomprendere nella nozione di “impianto” anche una fattispecie come quella in esame, nella quale un cogeneratore costruito dalla ricorrente nel suo sito industriale per assicurare energia al suo stabilimento produttivo sia stato successivamente ceduto, tramite cessione di ramo di azienda, ad altra società specializzata nel settore dell’energia, con un contratto che preveda, da un lato, il trasferimento alla cessionaria dell’impianto di cogenerazione di energia elettrica e calore, delle certificazioni, dei documenti, delle dichiarazioni di conformità, licenze, concessioni, autorizzazioni e permessi richiesti per l’esercizio dell’impianto stesso e per lo svolgimento dell’attività, la costituzione in suo favore di un diritto di superficie sull’area dello stabilimento adeguata e funzionale alla gestione e manutenzione dell’impianto e dei diritti di servitù a favore del manufatto ad uso cogeneratore, con circostante area esclusiva, e, dall’altro lato, la fornitura dalla cessionaria alla cedente per 12 anni dell’energia prodotta dall’impianto stesso, ai prezzi di cui al contratto;

2) Se, in particolare, nella nozione di “collegamento tecnico” di cui al medesimo art. 3 lett. e) possa essere ricompreso un collegamento tra un cogeneratore ed uno stabilimento produttivo tale che quest’ultimo, appartenendo ad altro soggetto, pur godendo di un rapporto privilegiato con il cogeneratore ai fini della fornitura di energia (collegamento tramite rete di distribuzione di energia, specifico contratto di fornitura con la società energetica cessionaria dell’impianto, impegno di questa ad erogare un quantitativo minimo di energia allo stabilimento produttivo salvo il rimborso di un importo pari alla differenza tra i costi di approvvigionamento dell’energia sul mercato ed i prezzi previsti nel contratto, sconto sui prezzi di vendita dell’energia a partire dal decimo anno e sei mesi di decorrenza del contratto, concessione del diritto di opzione di riacquisto del cogeneratore in ogni momento da parte della società cedente, necessità dell’autorizzazione della cedente per lo svolgimento di lavori sull’impianto di cogenerazione) possa continuare a svolgere la propria attività anche nel caso di interruzione della somministrazione di energia o nel caso di malfunzionamento o cessazione dell’attività da parte del cogeneratore;

3) Se, infine, nel caso di cessione effettiva di un impianto di produzione di energia da parte del soggetto costruttore, titolare nello stesso sito di uno stabilimento industriale, a diversa società specializzata nel campo energetico, per ragioni di efficientamento, la possibilità di scorporo delle relative emissioni dalla autorizzazione ETS del titolare dello stabilimento industriale, a seguito della cessione e l’eventuale effetto di “fuoriuscita” delle emissioni dal sistema ETS determinato dal mancato superamento da parte dell’impianto di produzione di energia, considerato da solo, della soglia di qualificazione dei “piccoli emettitori” rappresentino una violazione della regola dell’aggregazione delle fonti di cui all’allegato I della direttiva 2003/87/CE o, al contrario, una semplice e lecita conseguenza delle scelte organizzative degli operatori, non vietata dal sistema ETS.

Ai sensi della Nota informativa riguardante la proposizione di domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali» 2011/C 160/01 in G.U.C.E. 28 maggio 2011 e delle nuove Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale 2016/C 439/01 in G.U.C.E. 25.11.2016, vanno trasmessi alla Cancelleria della Corte mediante plico raccomandato gli atti del giudizio in copia, comprensivi della presente ordinanza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis),

1) rimette, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le questioni pregiudiziali indicate in motivazione;

2) dispone che, a cura della Segreteria, siano trasmessi gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea;

3) sospende il processo fino alla definizione del giudizio sulle questioni pregiudiziali e con riserva, all’esito, di ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 marzo 2019 con l'intervento dei magistrati:

Elena Stanizzi, Presidente

Silvio Lomazzi, Consigliere

Ofelia Fratamico, Consigliere, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Ofelia Fratamico Elena Stanizzi
 
 
 

IL SEGRETARIO

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