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La Corte di Giustizia restringe notevolmente il concetto di "contratti estranei" all'applicazione delle direttive comunitarie coniato dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato
di Giorgio Lezzi 2 novembre 2020
Materia: appalti / appalti pubblici nei settori esclusi

La Corte di Giustizia restringe notevolmente il concetto di "contratti estranei" all'applicazione delle direttive comunitarie coniato dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato

Giorgio Lezzi, partner Osborne Clarke Italia

 

Con una nota sentenza risalente a quasi dieci anni fa (in particolare: la n. 16, pubblicata il 1° agosto 2011), l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, risolvendo così un contrasto giurisprudenziale che si era formato sul punto, aveva chiarito i casi nei quali le imprese pubbliche operanti nei cc.dd. settori speciali risultano assoggettate al rispetto della disciplina dettata dalle direttive europee, e di conseguenza, della relativa normativa italiana di recepimento, fornendo una interpretazione che si discostava dal precedente orientamento sino al quel momento prevalente.

Nella fattispecie in questione, si discuteva dell’applicabilità o meno delle regole dell’evidenza pubblica ad un appalto affidato da Eni Servizi S.p.A. ed avente ad oggetto il servizio di vigilanza di un complesso immobiliare di proprietà di Eni S.p.A..

Una volta chiarita la natura di impresa pubblica di entrambe le società (e non già di organismo di diritto pubblico, tenuto conto della natura imprenditoriale delle stesse), l’Adunanza Plenaria si era soffermata sulla nozione di "settori speciali” di cui al codice dei contratti pubblici all'epoca in vigore (vale a dire, il d.lg. n. 163/2006), ribadendo come gli appalti che rientrano in tali settori debbano essere individuati alla luce di un duplice criterio:

– sotto il profilo soggettivo, devono essere affidati da parte di un ente che opera nei settori speciali;

– sotto il profilo oggettivo, devono attenere ad un servizio riferibile al settore speciale, cioè finalizzato al perseguimento degli scopi propri o core business dell’attività, appunto, speciale, espletata dal soggetto appaltante.

Con la citata sentenza il Consiglio di Stato aveva evidenziato, quindi, come le imprese pubbliche siano tenute all’osservanza della disciplina degli appalti pubblici solo nei settori speciali, “mentre [le stesse] non sono in quanto tali ed in termini generali contemplate tra le amministrazioni aggiudicatrici e gli altri soggetti aggiudicatori tenuti all’osservanza della disciplina degli appalti nei settori ordinari”.

In pratica, al di fuori dei cc.dd. settori speciali, era stato chiarito che esse possono agire in regime di diritto privato e non sono quindi tenute all’applicazione della parte “ordinaria” del Codice dei contratti pubblici, come invece in precedenza ritenuto dalla giurisprudenza sino a quel momento consolidata.

A tale conclusione i giudici amministrativi erano pervenuti tenuto conto di come, tra l’altro, la disciplina degli appalti nei settori ordinari, prevista dalla parte II del d.lg. n. 163/2006, non recasse un espresso riferimento alle imprese pubbliche in quanto tali.

In tale prospettiva, i giudici di Palazzo Spada avevano stabilito che nell’ambito dei contratti “esclusi” dall'applicazione della disciplina ad evidenza pubblica, si operava, quindi, una innovativa distinzione fra:

– appalti “esenti”, aventi ad oggetto attività che “rientrano nei settori di intervento delle direttive, ma che ne vengono esclusi per ragioni latu sensu di politica comunitaria”, con riferimento ai quali l’ente aggiudicatore è tenuto al rispetto dei principi del Trattato in materia di concorrenza (economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità);

  appalti “estranei” (categoria di nuova creazione, coniata proprio dall'Adunanza Plenaria con la citata sentenza), aventi ad oggetto attività “del tutto al di fuori dei settori di intervento delle direttive o dello stesso ordinamento comunitario” (da eseguirsi al di fuori del territorio dell’Unione ovvero aggiudicati da enti aggiudicatori dei settori speciali per fini diversi dall’esercizio delle attività nei settori speciali) che, qualora affidati da imprese pubbliche, non soggiacciono alla disciplina dei settori ordinari ma al solo rispetto dei principi civilistici.

Tanto premesso, con la più volte richiamata decisione l’Adunanza Plenaria aveva escluso sia che il contratto di appalto oggetto di contestazione – come detto: concernente il servizio di vigilanza di alcune sedi del Gruppo ENI non frequentate dall'utenza interessata dai servizi ricadenti nei cc.dd. settori speciali - fosse riconducibile ai settori speciali (non riguardando né direttamente uno di questi, né, comunque, un’attività riferibile al core business inerente l’attività speciale di una impresa operante in tali settori), sia che lo stesso potesse essere assoggettato al rispetto dei principi di cui all’art. 27 del d.l.g. n. 163/2006, e quindi del Trattato (non riguardando una materia c.d. “esente”, nell'accezione in precedenza fornita).

Secondo tale impostazione, nella scelta del soggetto cui affidare il servizio di vigilanza in oggetto – non rientrante nel settore speciale “gas” – Eni Servizi S.p.A. era stata considerata tenuta al solo rispetto dei principi civilistici e del libero mercato e non già delle più rigide previsioni recate dalle direttive europee e, quindi, dal Codice dei contratti pubblici all'epoca in vigore, con l’ulteriore conseguenza che, trattandosi di materia regolata dal diritto privato, difettava nel caso concreto la giurisdizione del giudice amministrativo sulle eventuali controversie traenti origine da tale affidamento.

La predetta impostazione – che si riteneva oramai consolidata nel nostro ordinamento – risulta oggi drasticamente limitata nella sua applicazione dalla recente sentenza della Corte di Giustizia Europea, Sez. V, 28 ottobre 2020, n. C-521/18, concernente la fornitura di servizi di portierato, reception e presidio varchi per le sedi dei prestatori di servizi postali, quali Poste Italiane e altre società del gruppo.

Ebbene, dopo aver confermato la qualificazione di "imprese pubbliche" di tali società – non configurabili quali organismi di diritto pubblico in ragione della circostanza che la relativa attività risulta "guidata da esigenze di carattere industriale e commerciale" – la Corte di Giustizia Europea ha preliminarmente segnalato che secondo "l'articolo 13, paragrafo 1, la direttiva 2014/25 si applica alle attività relative alla prestazione, da un lato, di servizi postali e, dall’altro, di altri servizi diversi da quelli postali, purché tali altri servizi siano forniti da un ente che presta anche servizi postali. Quanto alle nozioni di «servizi postali» e di «altri servizi diversi da quelli postali», esse sono definite all’articolo 13, paragrafo 2, lettere b) e c), di tale direttiva come aventi ad oggetto servizi consistenti in raccolta, smistamento, trasporto e distribuzione di invii postali, e, rispettivamente, servizi di gestione di servizi postali nonché servizi relativi a invii diversi dagli invii postali, come la spedizione di invii pubblicitari privi di indirizzo".

In tale prospettiva, i Giudici europei hanno segnalato che occorre considerare che rientrano tra le attività relative alla prestazione di servizi postali, ai sensi di tale disposizione, tutte le attività che servono effettivamente all’esercizio dell’attività rientrante nel settore dei servizi postali, consentendo la realizzazione in maniera adeguata di tale attività, tenuto conto delle sue normali condizioni di esercizio, ad esclusione delle attività esercitate per fini diversi dal perseguimento dell’attività settoriale di cui trattasi e, soprattutto, per ciò che qui maggiormente rileva, che "lo stesso vale per le attività che, avendo natura complementare e trasversale, potrebbero, in altre circostanze, servire all’esercizio di altre attività non rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva vertente sui settori speciali".

In considerazione di quanto sin qui evidenziato, la Corte di giustizia ha rilevato, al par. 45 della decisione in commento, che "nel caso di specie, è difficilmente ipotizzabile che dei servizi postali possano essere forniti in maniera adeguata in assenza di servizi di portierato, reception e presidio varchi degli uffici del prestatore interessato. Tale constatazione vale tanto per gli uffici aperti agli utenti dei servizi postali e che ricevono quindi il pubblico, quanto per gli uffici utilizzati per lo svolgimento di funzioni amministrative. Infatti, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 116 delle sue conclusioni, la prestazione di servizi postali comprende anche la gestione e la pianificazione di tali servizi", con la relativa conseguenza che (par. 46) "in tali circostanze, un appalto come quello di cui trattasi nel procedimento principale non può essere considerato aggiudicato per scopi diversi dal perseguimento dell’attività rientrante nel settore dei servizi postali, ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2014/25, e presenta al contrario, tenuto conto delle considerazioni esposte al punto 43 della presente sentenza, un nesso con tale attività che ne giustifica l’assoggettamento al regime istituito da tale direttiva".

Ebbene, la chiara estensione operata dalla Corte di Giustizia all'applicazione delle direttive europee in materia di affidamento dei contratti nei cc.dd. settori speciali anche ai rapporti contrattuali relativi agli "uffici utilizzati per lo svolgimento di funzioni amministrative", determina un evidente restringimento del concetto di "contratti estranei" coniato dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 16/2011, posto che i giudici italiani avevano statuito la non applicabilità delle previsioni europee in materia di affidamento dei contratti assegnati dalle imprese pubbliche nel caso di prestazioni che l'appaltatore era chiamato a rendere in relazione ad uffici in cui non vi sia la presenza di utenti finali, tesi, questa, di fatto smentita dalla pronuncia del 28 ottobre 2020, n. C-521/18.

In ragione di tale nuova pronuncia, si dovrà pertanto considerare pienamente applicabile la disciplina recata dal titolo VI, capo I del d.lg. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici) a tutti i contratti assegnati dalle imprese pubbliche operanti nei cc.dd. settori speciali, laddove le relative prestazioni abbiano una qualche attinenza – anche indiretta – ad una o più delle attività di cui agli articoli da 115 a 121 del medesimo d.lg. n. 50/2016, e ciò indipendentemente dal fatto che le predette prestazioni debbano essere svolte in luoghi in cui vi sia "contatto" con l'utenza servita.

E' di tutta evidenza, pertanto, che in conseguenza di tale rilevante pronuncia, il concetto di "contratti estranei" all'applicazione delle direttive e del Codice dei contratti pubblici, nell'accezione fornita dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sebbene non del tutto espunto dal nostro ordinamento, risulta oggi di fatto emarginato a circostanza del tutto eccezionale, come tale di limitatissima applicazione.

 

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