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Servizi pubblici locali, il dossier della Camera conferma il trend "fuori controllo" degli organismi partecipati
di Michele Nico 9 marzo 2020
Materia: servizi pubblici / disciplina

SERVIZI PUBBLICI LOCALI, IL DOSSIER DELLA CAMERA CONFERMA IL TREND “FUORI CONTROLLO” DEGLI ORGANISMI PARTECIPATI

L’ampio dossier del 21 febbraio 2020 elaborato dal Servizio studi della Camera offre una panoramica aggiornata sull’organizzazione e gestione dei servizi pubblici locali in Italia, e conferma gli aspetti di criticità che da tempo caratterizzano l’evoluzione del settore.

Il documento fa il punto sulla situazione normativa in materia, frutto di un processo di graduale armonizzazione e tra principi comunitari e disciplina interna, e si occupa altresì delle numerose società a partecipazione pubblica che operano nell’ambito dei servizi di interesse generale, tra cui il comparto dei servizi idrici, dei rifiuti, del trasporto pubblico locale e dell’energia elettrica.

Lo studio rileva come l’attuale contesto normativo, rappresentato soprattutto dal testo unico sulle partecipate (dlgs 175/2016) e da alcune sezioni del codice dei contratti (dlgs 50/2016), ha trovato una relativa stabilità dopo un lungo periodo d’incertezza, del quale vengono ricordate le tappe.

I precedenti normativi

In una prima fase storica è parso che il corpus legislativo dei servizi locali si fosse progressivamente consolidato in un quadro giuridico definito, grazie alla riforma organica introdotta dall’articolo 23-bis del Dl 25 giugno 2008, n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133, il cui testo era stato completato con l’emanazione del regolamento di cui al Dpr 168/2010, considerato dai più quale efficace caposaldo idoneo a rendere chiare e certe le regole del gioco.

A distanza di poco tempo il referendum del 12 giugno 2011 ha cancellato con un colpo di spugna tale impianto normativo da poco costruito e non ancora collaudato, fondamentalmente costituito dall’obbligo a regime di affidare con gara la gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica.

Poi si è levato in Italia il vento della liberalizzazione che ha scosso l’intera economia nazionale, cambiandone il volto e il ritmo di sviluppo.

Si richiama sul punto il Dl 1/2012 convertito nella legge 24 marzo 2012, n. 27 che ha anch’esso delineato, per alcuni aspetti, la nuova disciplina organica dei servizi locali.

In tale scenario ha fatto capolino la svolta politica della “spending review” (Dl 174/2012, Dl 179/2012, “legge di stabilità 2014” 147/2013, ecc.), la cui interpretazione coordinata e sistematica è stata un’impresa davvero ardua, come ha dimostrato l’imponente attività consultiva svolta dalla Corte dei Conti, per impulso dei molteplici quesiti posti dagli enti impegnati sul territorio.

Infine, il vigente dlgs 175/2016 ha visto la luce quale strumento normativo diretto da un lato a ridurre il numero della partecipate in Italia, e dall’altro a contenerne i costi di funzionamento, grazie al processo di razionalizzazione imposto a regime, con cadenza annuale, a tutti gli enti titolari di partecipazioni societarie.

I modelli organizzativi

Dal complesso intreccio della disciplina sorta in materia è sorto un quadro normativo articolato, che offre oggi alla Pa le seguenti alternative per la gestione dei servizi pubblici locali:

a)         gestione in economia, dove i servizi vengono erogati da un settore dell’amministrazione tramite il personale dello stesso ente locale

b)         gara pubblica per l’affidamento del servizio a terzi, con un bando che preveda la valutazione degli aspetti economici e qualitativi, delle innovazioni tecnologiche e dei piani di investimento

c)         gara “a doppio oggetto” per l’individuazione del socio privato con compiti operativi, per gestire il servizio tramite società mista pubblico-privata

d)        affidamento in house, mediante autoproduzione del servizio di matrice giurisprudenziale comunitaria.

In questo scenario, la scelta della modalità di affidamento non può che essere rimessa alla motivata valutazione della Pa, sul presupposto che la discrezionalità dell’ente venga adeguatamente esercitata nel rispetto dei principi europei di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi.

Gli affidamenti in house

Una larga parte dell’analisi in esame è dedicata al tema degli affidamenti in house, che nel corso degli anni ha registrato una stretta di rigore, sulla base di regole del diritto nazionale più stringenti rispetto a quelle comunitarie.

Il principale riferimento in materia è l’articolo 192, comma 2, del dlgs 50/2016, che impone all’ente affidante un obbligo di motivazione preventiva con cui valutare la congruità economica dell’offerta del soggetto in house, con riguardo ai seguenti elementi:

-           oggetto;

-           valore della prestazione;

-           ragioni del mancato ricorso al mercato;

-           benefici per la collettività della forma di gestione prescelta;

-           obiettivi plurimi di universalità e socialità, efficienza, economicità e qualità del servizio;

-           impiego ottimale delle risorse pubbliche.

Come si vede, la legittimità del ricorso all’affidamento in house non richiede soltanto la sussistenza dei requisiti giuridici prescritti, ma la dimostrazione, ben più impegnativa, che la deroga al principio della concorrenza nel mercato è giustificata da obiettivi di interesse generale, posto che secondo il principio di buon andamento la modalità di affidamento prescelta deve sempre essere quella che minimizza i costi di fornitura del servizio.

In questa logica, la norma ha imposto all’ente di motivare “le ragioni del mancato ricorso al mercato”, rendendo di fatto obbligatoria un’indagine preventiva di mercato, al fine di verificare la congruità delle condizioni economiche proposte per l’erogazione dei servizi in house, nella logica del rapporto qualità/prezzo.

La proliferazione delle partecipate

Sullo sfondo dell’analisi svolta dal Servizio studi permane, come sempre, la preoccupazione legata a una proliferazione fuori controllo degli organismi partecipati, secondo un trend che nel corso del tempo non ha registrato flessioni di sorta, a dispetto dei vincoli e degli obblighi di riduzione ripetutamente imposti dal legislatore.

Il dossier precisa che il numero di partecipazioni detenute dagli enti territoriali che hanno fornito le informazioni ammonta complessivamente a 116.003, per la maggior parte (111.879, oltre il 96%) detenute dai Comuni.

Il documento ricorda che la Corte dei conti, nell’ultima relazione sugli organismi partecipati dagli enti territoriali e sanitari (2019), ha evidenziato che 27 partecipate su 100 versano in condizioni tali da richiedere interventi di razionalizzazione da parte delle amministrazioni socie, con l’aggravante di una criticità alla governance che, secondo i giudici contabili, non sempre viene esercitata in modo consapevole da parte degli enti i quali, peraltro, hanno talora spostato il potere decisionale dall’organo politico al sistema delle holding (specie nei Comuni di maggiori dimensioni).

In definitiva si tratta di un quadro che, per quanto delineato sulla base di informazioni aggiornate, conferma ancora una volta i fattori di criticità che da tempo affliggono la gestione degli organismi partecipati al servizio della Pa, senza i segni di una benché minima inversione di tendenza.

 

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