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Associazioni non riconosciute e pa, un matrimonio che non s'ha da fare.
di Michele Nico 26 luglio 2019
Materia: società / partecipazione pubblica

ASSOCIAZIONI NON RICONOSCIUTE E PA, UN MATRIMONIO CHE NON S’HA DA FARE

Il Testo unico delle società a partecipazione pubblica (T.U.S.P.) prevede significative limitazioni all’autonomia delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di evitare che il socio pubblico possa assumere posizioni da cui consegua una sua responsabilità illimitata per le obbligazioni della società.

Questo anche per il fatto che l’assunzione della qualifica di socio illimitatamente responsabile sembra difficilmente compatibile con le regole e la funzione autorizzatoria del bilancio di previsione degli enti in regime di contabilità finanziaria.

Si è pertanto sostenuto che il socio pubblico – in qualità di soggetto istituzionalmente rappresentativo del territorio – non potrebbe assumere quel ruolo imprenditoriale con spiccata rilevanza personale che è, invece, presupposto dalla partecipazione in società di persone.

Il titolo V del libro V del codice civile opera la fondamentale distinzione delle società tra società di persone  e società di capitali, e a questo riguardo l’articolo 3, comma 1, del Tusp dispone che le amministrazioni pubbliche possono essere titolari di partecipazioni solo in società per azioni o in società a responsabilità limitata, anche in forma cooperativa.

Anche se la norma non vieta la partecipazione dell’ente locale alle associazioni di diritto privato, tale formula organizzativa richiede la massima attenzione e cautela da parte della Pa, in rapporto alla ratio legis sottesa ai principi generali che regolazione l’azione amministrativa della Pa.

Si consideri, a titolo esemplificativo, che la responsabilità personale del presidente, per le obbligazioni assunte in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta ex articolo 38 del codice civile, permane anche dopo la cessazione della carica e la conseguente perdita del potere di rappresentanza.

È appunto questo il principio affermato dal Tribunale di Torino, Sez. VIII, con la sentenza n. 1196/2019, secondo cui il rapporto di immedesimazione organica tra il rappresentante e il sodalizio rappresentato non viene meno anche dopo la cessazione della carica, in funzione della superiore esigenza di tutelare i crediti e i diritti vantati dai terzi nei confronti dell’associazione.

Quanto sostenuto dai giudici riveste un’importanza di primo piano tenuto conto del fatto che l'associazione riconosciuta è un soggetto che non ha piena capacità giuridica e patrimoniale, non risultando idoneo a costituire un centro autonomo di imputazione di diritti e obblighi totalmente distinto dai propri associati.

Il regime di responsabilità connesso a tale figura giuridica assume peraltro un particolare rilievo in ambito amministrativo, alla luce dei molteplici rapporti intercorrenti tra gli enti locali e le associazioni rappresentative degli interessi sul territorio, specie di carattere ricreativo e sportivo.

Il caso di cui alla sentenza in esame riguarda, per l’appunto, la locazione di una palestra a un’associazione sportiva dilettantistica, che in sede di recesso dal contratto è risultata inadempiente nei confronti del locatore per una serie di ragioni, ossia per danneggiamenti riscontrati alle pareti dell’immobile e alle attrezzature sportive, per la carente manutenzione dell’impianto di riscaldamento e delle centraline termiche, nonché per l’omesso pagamento dei canoni relativi alle ultime 3 mensilità.

A fronte di tali inadempienze è stato esperito un tentativo di mediazione tra le parti, che si è però concluso con un verbale negativo di mancato accordo.

Al che il locatore ha trattenuto la cauzione versata dall’associazione sportiva e l’ha poi citata in giudizio per ottenere il ristoro delle pretese insoddisfatte.

Il presidente convenuto ha eccepito, in via preliminare, la carenza di legittimazione passiva rispetto alle domande del locatore, per il fatto di non essere più in carica quale rappresentante dell’associazione e, in via subordinata, di non aver compiuto atti gestori nell’esercizio del mandato.

Quest’ultimo rilievo viene respinto dal tribunale per una sorta di garanzia “ex lege”, ossia per l’esigenza di tutelare i terzi che, nell’istaurare un rapporto negoziale con il rappresentante dell’associazione, hanno fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio del soggetto obbligato.

Si tratta di una forma di protezione che l’ordinamento accentua nel caso delle società di capitali, ove le limitazioni ai poteri degli amministratori previste dallo statuto o da una decisione degli organi competenti non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società.

Per quanto riguarda l’eccezione del difetto di legittimazione passiva, i giudici la rigettano sostenendo che la responsabilità personale del presidente per le obbligazioni assunte permane intatta e inalterata anche dopo la cessazione della carica.

A sostegno di questa tesi il tribunale ha richiamato la pronuncia n. 455/2005 della Corte di Cassazione, Sez. III, che nel trattare un analogo caso aveva cassato la sentenza della Corte d’Appello che aveva invece ritenuto, con riferimento a un contratto di locazione sottoscritto dall'allora presidente di un'associazione, che tutte le relative obbligazioni non gravassero su quest'ultimo, bensì sull'attuale legale rappresentante del sodalizio.

Nel caso di specie, la posizione dei giudici risulta rafforzata dal fatto che, dopo la cessazione della carica, l’ex presidente convenuto ha continuato a ingerirsi nella gestione associativa, partecipando a sopralluoghi, ordinando lavori e dando indicazioni operative in ordine all’utilizzo della palestra oggetto di locazione.

Ma al di là di questa circostanza, l’orientamento giurisprudenziale in materia è meritevole di interesse perché da un lato punta a garantire una tutela rafforzata dei terzi rispetto alle obbligazioni assunte dall’associazione non riconosciuta nel corso della propria attività gestionale e, dall’altro, mette in luce una responsabilità di carattere eminentemente personale del soggetto al vertice dell’associazione, che mal si concilia con i limiti e le caratteristiche della carica rappresentativa nella Pa.

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