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ESCLUSIONE DALLA GARA PER IRREGOLARITA’ FISCALE NON DEFINITIVAMENTE ACCERTATA
CRITICITA’, PROFILI DI ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE E AUSPICABILI CORRETTIVI AL D.L. "SBLOCCA CANTIERI"
di Andrea Arduini 4 giugno 2019
Materia: appalti / disciplina

ESCLUSIONE DALLA GARA PER IRREGOLARITA’ FISCALE NON DEFINITIVAMENTE ACCERTATA

CRITICITA’, PROFILI DI ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE E AUSPICABILI CORRETTIVI AL D.L. “SBLOCCA CANTIERI”

A poco più di un mese dalla entrata in vigore del D.L. 32/2019 c.d. Sblocca cantieri (19 aprile) non accennano a sopirsi le aspre critiche delle Associazioni di categoria (in particolar modo AIDC e ANCE), degli interpreti e, recentemente, anche dell’ANAC, oltre alle preoccupazioni sempre più palpabili del mondo imprenditoriale, nonostante i primi segnali di apertura da parte del Legislatore.

L’art. 1, comma 1, lett. n del D.L. “Sblocca cantieri” ha, infatti, introdotto all’art. 80, comma 4, del D.Lgs. 50/2016 “Codice dei contratti pubblici” una ulteriore causa di esclusione dell’operatore economico dalle procedure di affidamento di appalti e concessioni. Così, oltre a quella già prevista dal primo periodo: “Un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali”, ora, al quinto periodo,è disposto che “Un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati”.

Tale modifica affonda le proprie radici nella lettera di messa in mora n. 2018/2273 (di fine gennaio scorso), inviata dalla Commissione europea al Governo italiano nell’ambito di una procedura di infrazione nella quale sono stati avanzati dubbi in ordine alla conformità del citato art. 80 “Codice dei contratti pubblici” rispetto ad alcune disposizioni delle Direttive 2014/23/Ue e 2014/24/Ue nella parte in cui non consentiva “di escludere un operatore economico che ha violato gli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali qualora tale violazione – pur non essendo stata stabilita da una decisione giudiziaria o amministrativa avente effetto definitivo – possa essere comunque adeguatamente dimostrata dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore”.

Non può, tuttavia, non evidenziarsi l’eccesso di zelo del Legislatore italiano nel recepire l’input comunitario. Ciò, non solo laddove disancora la decisione della stazione appaltante in termini di esclusione dell’operatore economico da qualunque filtro giurisdizionale o amministrativo, diversamente da quanto dispongono le Direttive comunitarie citate e si legge nella lettera di messa in mora, che si limitano invece ad affermare la non necessaria definitività delle relative pronunce; ma anche laddove non specifica espressamente la necessità del presupposto della gravità della violazione tributaria o contributiva ai fini dell’esclusione, diversamente da quanto prevedono le stesse Direttive comunitarie che mitigano il rigore della sanzione in caso di violazioni di lieve entità.

Inoltre, plurimi sono i profili di criticità innescati dalla disposizione in commento. In primo luogo, la eccessiva discrezionalità dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore nell’esercizio del potere d’esclusione che, in assenza di criteri obiettivi e legalmente predeterminati, rischia di sfociare in arbitrio. In secondo luogo, come già anticipato, l’assenza del riferimento alla gravità della violazione escludente e la indiretta previsione di una soglia di non punibilità troppo bassa,di soli 5.000 euro, oltre alla assoluta prescindibilità da qualunque decisione giudiziaria o amministrativa, che addirittura, anche laddove dovesse sussistere ed essere favorevole al contribuente, ma non definitiva, potrebbe essere disattesa dalla stazione appaltante, in quanto suscettibile di ribaltamento in termini di condanna nei successivi gradi di giudizio.

Tale situazione, a detta delle Associazioni di categoria, determinerà prevedibilmente una pluralità di ricadute negative. L’operatore economico-contribuente, infatti, in caso di accertamento, avrà due alternative: o scongiurare la possibile esclusione dalla gara con il pagamento integrale (o della prima rata, in caso di rateizzazione) della cartella di pagamento, prima della scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione; o rimettersi alla discrezionalità pressochè arbitraria della stazione appaltante, determinandosi a non pagare,non piegandosi cioè a quello che è stato definito, senza mezzi termini, “Stato di polizia tributaria”, per poi ricorrere al T.A.R. in caso di esclusione dalla gara. L’elezione di tale seconda via, ovviamente, comporterebbe un aumento esponenziale del già gravoso contenzioso amministrativo relativo alle esclusioni dalle procedure di affidamento da parte delle stazioni appaltanti, senza contare le conseguenze, in particolar modo risarcitorie (eventualmente anche per danno all’immagine),alle quali si troverebbero esposti i funzionari dell’amministrazione finanziaria nel caso in cui gli accertamenti emessi e determinanti l’esclusione dalla gara venissero poi a rivelarsi, per decisione giurisdizionale o amministrativa definitiva, del tutto infondati.

Per di più, le stesse Associazioni di categoria e una nutrita schiera di interpreti, hanno già debitamente evidenziato una pluralità di potenziali profili di incostituzionalità. Tra questi, in particolar modo, l’AIDC ha sottolineato la violazione del diritto di difesa consacrato dall’art. 24 della Carta Costituzionale, in quanto la novella non distingue tra pretese definitive e pretese in corso di definizione e, con una sorta di presunzione di evasione e in spregio allo Statuto dei diritti del contribuente, giunge a considerare debitore un soggetto per il quale una data pretesa impositiva non sia ancora stata definitivamente accertata. E non mancano voci altrettanto critiche che sostengono la violazione dei principi di libera iniziativa economica (art. 41 Cost.) e di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione(art. 97 Cost.),in un settore, quello delle procedure ad evidenza pubblica, che dovrebbe essere ispirato alla massimizzazione partecipativa, non solo in chiave di tutela dell’interesse della stessa pubblica amministrazione al conseguimento dell’offerta economicamente più vantaggiosa sul mercato, ma anche in chiave di tutela e valorizzazione della concorrenza, quale principio fondamentale dei Trattati UE.

Peraltro, sempre in chiave di illegittimità costituzionale, si potrebbe avanzare un ulteriore profilo di censura, che finora non è stato considerato dagli esperti che hanno esaminato la novella legislativa. La disposizione neointrodotta, infatti, parrebbe altresì violare il principio di non colpevolezza fino a condanna definitiva,riconosciuto dall’art. 27 della Costituzione. Deve, a riguardo, precisarsi, infatti, che tale principio, seppur dettato per la responsabilità penale, a fronte di quanto disposto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e dalla Corte di Strasburgo che la presidia, deve ritenersi estensibile, unitamente agli altri principi che governano l’ordinamento giuridico penale, anche a quelle sanzioni che, seppur formalmente “etichettate” dai legislatori nazionali come amministrative, debbono ritenersi, per grado di afflittività, sostanzialmente penali. E certo,non si può dubitare della qualificabilità in termini di vera e propria pena della esclusione di un operatore economico da una gara, a fronte degli effetti estremamente pregiudizievoli e stigmatizzanti che la stessa è in grado di infliggere al concorrente e alla relativa attività imprenditoriale.

Dato così conto del contenuto della riforma, delle relative criticità e dei profili di potenziale illegittimità costituzionale, non resta che valutare quali potrebbero essere gli auspicabili correttivi in sede di conversione.

A riguardo, sia l’AIDC che ANCE, hanno promosso l’integrale stralcio della nuova disposizione e, solo in subordine, un sensibile innalzamento della soglia di non punibilità (come anticipato fissata solo indirettamente in 5.000 euro) in grado di disinnescare l’esclusione nei casi di irregolarità tributarie o contributive di lieve entità, in ossequio, peraltro, a quanto disposto dalle Direttive UE, oltre che nel rispetto dei generali principi di ragionevolezza e proporzionalità.

Peraltro, ad avviso di chi scrive, oltre ai condivisibili aneliti avanzati dalle Associazioni di categoria, si potrebbe auspicare una determinazione legislativa di criteri oggettivi che la stazione appaltante dovrebbe seguire per poter giungere alla extrema ratio della esclusione e, soprattutto, la subordinazione dell’irrogabilità della sanzione ad una pronuncia di condanna giurisdizionale o amministrativa, anche non definitiva, che, se non del tutto in grado di dissipare le fitte ombre di incostituzionalità rilevate, potrebbe comunque costituire una accettabile soluzione di compromesso tra le diverse sensibilità politiche e i confliggenti moniti eurocomunitari.

Avv. Andrea Arduini - Studio BP & Associati

 

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